LASCIARE, RESTARE O INCLUDERE?

DIRITTI DEI MIGRANTI NEL PERCORSO VERSO UNA RIGENERAZIONE INTEGRALE

Curioso e  avventuroso: da sempre lo spirito umano è alimentato dal bisogno di scoperta, di spostamento per esplorare terre nuove, per conoscere, per arricchirsi, per prosperare.

Scelte che hanno dato avvio ad incontri di culture, commistioni di saperi e sapori, innovazioni sensazionali.

Eppure oggi la maggioranza delle persone che abitano questo pianeta pare abbia dimenticato la bellezza di spostarsi per scelta. In un mondo in costante e repentino cambiamento, la mobilità umana è sempre più connessa a migrazioni per necessità. Che si parli di fuga di cervelli, di insufficienti standard di vita, di conflitti armati, di competizioni nell’accesso di risorse naturali essenziali o di eventi climatici estremi, la fotografia attuale della mobilità umana è sempre meno frutto di scelte libere.

Secondo gli ultimi dati del World Migration Report il 3,6% della popolazione mondiale, 281 milioni di persone, sono identificate come migranti internazionali mentre 89,4 milioni di persone sono attualmente sfollate. C’è ora un chiaro legame tra le emergenze legate al clima e gli spostamenti forzati, considerato che 30 milioni dei cosiddetti nuovi sfollamenti nel 2020 sono innescati da eventi climatici: siccità,  temperature estreme, incendi, frane. 

Eventi ai quali si aggiungono le complessità innescate dalla pandemia globale, che ha frenato bruscamente i flussi umani tra stati per accelerare movimenti forzati di persone all’interno di uno stesso stato: persone disperate che rimangono sfollate internamente al loro stesso stato, acuendo le difficoltà nella gestione e rilocalizzazione di individui che, nella loro vulnerabilità, sono spesso esposti ai rischi di mercati illegali e criminali. 

LE OPPORTUNITA’ NASCOSTE DIETRO PROBLEMI EVIDENTI 

Non c’è stato al mondo che possa definirsi indenne dal fenomeno della migrazione e sfollamento, in entrata o in uscita. Neppure il nostro Paese.

Al contrario, ormai è risaputo quanto il Bacino del Mediterraneo sia una zona ad alto rischio per il cambiamento climatico, con alte probabilità di trasformarsi in un’area colpita da una desertificazione in avanzamento, sia in termini naturali che umani. 

Ma parliamo anche di quello stesso Bacino che continua ad accogliere incessantemente milioni di persone in fuga dal Nord Africa e dall’Est Europa. Solo nel primo semestre del 2021, i Paesi del Mediterraneo hanno accolto quasi 40.000 migranti, sfidando i rischi delle rotte via mare, che proprio nel Mediterraneo sono tra le più pericolose. 

L’Italia e nel dettaglio la Sicilia è il principale luogo di sbarco dei migranti nel Mediterraneo.

Eppure nel nostro Paese se non fosse per l’elevato numero di migranti, un intero settore sarebbe in ginocchio, per una carenza sempre più significativa di braccianti. Parliamo del settore primario per il nostro Stivale, il settore agricolo, che nel solo nel 2020 basava quasi la metà della forza lavoro su persone immigrate dall’estero. Nella sola Puglia, i lavoratori stranieri stagionali formalmente registrati nel comparto agricolo si aggirano intorno ai 38.000 individui. Un settore che però ad oggi fatica ad assicurare loro ancora condizioni di vita dignitose, contratti di lavoro regolari, pagamenti giusti ed un pieno rispetto delle loro dignità e dei diritti umani. Un monito che risuona forte e chiaro dalle stesse Nazioni Unite che hanno proprio richiamato il nostro Paese a porre fine allo sfruttamento dei lavoratori stranieri immigrati in agricoltura.

Non a caso infatti, la recente Agenda per il Mediterraneo individua tra le sue cinque priorità di intervento proprio la Migrazione e mobilità, per agevolare la legalità nei flussi migratori da e nel Mediterraneo. 

E’ chiaro allora quanto migrazione e sfollamenti forzati siano un problema politico, nell’urgenza di implementare politiche di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici; un problema diplomatico, nella gestione dei delicati equilibri tra paesi di flussi massicci di individui, ma siano anche radicati in problemi culturali e sociali, perchè assicurare adeguato accoglimento, gestione ed integrazione di individui in una comunità diversa dalla loro non è cosa da poco, in problemi umani di individui che spesso sono vittima di sfruttamento, razzismo, esclusione, standard di vita non dignitosi, problemi di inclusione, per assicurare loro l’acquisizione di adeguate competenze. 

Cosa accadrebbe però se tutti questi problemi fossero letti alla luce delle opportunità che potrebbero celare? 

Cosa accadrebbe cioè se una condizione di massima vulnerabilità, come quella che spinge individui ad abbandonare il proprio paese di origine, si traducesse in un reale supporto per un altro Paese? Cosa accadrebbe se aree, come quelle italiane interne, vittime di spopolamento, invecchiamento, abbandono, inselvatichimento dei terreni fossero ripopolate mediante la gentilezza e l’accoglienza verso l’altro? Se si creassero reti, indipendentemente dalla nazionalità, volte al sostegno reciproco?

LA RIGENERAZIONE INTEGRALE DEL MEDITERRANEO PARTE DALLA TERRA.

Trasformare le attuali criticità che contraddistinguono il Mediterraneo per creare reti di forza e collaborazione è esattamente l’obiettivo che sta dietro la Mediterranean Regeneration Academy, una vera e propria scuola di agricoltura rigenerativa che nasce a Pollica, nel cuore del Mediterraneo, per includere partendo da modelli agroalimentari sostenibili. Grazie alla collaborazione con Mygrants, la piattaforma più utilizzata dai richiedenti asilo in Italia, creata per fare emergere tutto il potenziale dei migranti, la Mediterranean Regeneration Academy accoglierà anche migranti e rifugiati per imparare le tecniche alla base dell’agricoltura rigenerativa, per acquisire competenze, per ripopolare le aree rurali prendendosi cura dei territori che li hanno accolti, per rafforzare il tessuto sociale partendo dal cibo, ma anche per fornire qualifiche lavorative necessarie per poter tornare nella loro patria restituendo al loro paese di origine la capacità di creare agroecosistemi e comunità resilienti.

Applicare un approccio ecologico integrale significa infatti rispettare, significa rigenerare la terra quanto le persone, significa accogliere restituendo maestranza, significa collaborare per assicurare una prosperità collettiva.

Quando saremo riusciti a mettere in pratica questa mentalità, allora forse non avremmo più bisogno del 18 dicembre per celebrare la giornata mondiale per i diritti dei migranti.