La montagna addomesticata: ancorarsi alla terra

“E’ dalle viscere della terra che veniamo. Siamo figli della terra e viviamo, respiriamo con essa. Dalle montagne c’è molta saggezza, una saggezza muta, indefinibile che sai che c’è, la vedi, se hai occhi abbastanza pazienti per vederla. E’ dalla vita delle montagne che veniamo come popolo. Siamo una cultura di montagna, non di mare.” – Antonio Pellegrino

E’ con queste riflessioni che la scorsa settimana abbiamo accolto le celebrazioni dell’XI anniversario dal riconoscimento della Dieta Mediterranea come Patrimonio Unesco, che più che un “compleanno”, sono state giornate per immaginare un nuovo futuro per il nostro paese, che non è fatto solo di città, ma anzi è soprattutto costituito da aree rurali. Con noi per parlare di terra e valorizzazione del territorio abbiamo avuto scienziati, attivisti, sindaci appassionati, narratori, produttori ma anche e soprattutto contadini custodi come Antonio Pellegrino, presidente della cooperativa sociale “Terre di Resilienza” che semina grano e produce farine a Caselle in Pittari, nel cuore del Cilento, Rossella Galletti, PhD in Antropologia Culturale, Università Suor Orsola Benincasa, e Linda Carobbi, Co-fondatore Associazione Nazionale Le Donne dell’Ortofrutta, Business Development Manager & CoFounder TurismiAmo.

Antonio ci ha fatto riflettere su degli aspetti fondamentali, non solo per i territori, ma degli aspetti fondamentali per tutti noi che lavoriamo nell’ambito della sostenibilità. Abbiamo infatti parlato dell’importanza dell’ancoraggio al territorio. E’ proprio questo ancoraggio fisico che ci rende “solidi” e veri. Il tutto non è da intendere con un’accezione romantica e romanzata. Non si tratta infatti di una visione bucolica della montagna e della natura, ma al contrario è un ancorarsi alla terra, conoscerne le sue curve, i suoi dislivelli ed i suoi umori. “Che cosa stai mangiando? Quando lo stai mangiando?” dice Antonio. Questo è un invito a portare attenzione, che non è altro che avere cura di ciò che ci passa tra le mani. Un concetto di “cura” che è emerso anche dalle parole di Rossella Galletti che, attraverso una ricerca approfondita nei territori del Cilento, studiando le testimonianze degli anziani che abitano queste terre, ha evidenziato come alcuni elementi fossero sempre presenti, come l’idea della solidarietà e della convivialità che si manifestava appunto nel lavoro e nella custodia della terra. 

A questo radicamento pragmatico si oppone in un certo senso l’impianto comunicativo della nostra epoca, fatto di parole che cambiano, che crescono, si impongono, che si allontanano e fluttuano. Parole che cambiano colore e forma in tempi brevissimi. Tempi ai quali tutti facciamo fatica ad abituarci, a tenere il passo. Parole che non vengono questionate e rimesse in discussione, ma che prendiamo per buone a volte senza farci troppo caso. Un esempio su tutti è la “permacultura”, oggi sulla bocca di tutti come una terra promessa che si vede solo in lontananza. Esempi di permacultura si possono trovare ovunque nelle nostre campagne, quando ancora non esisteva questa parola: i nostri antenati coltivavano l’olivo, e alla sua ombra facevano susseguirsi la rotazione di cereali e leguminose, perché così era costume, e così funzionava. I muretti a secco che attraversano il nostro Appennino sono un fossile vivente di una sapienza che ha saputo rubare la terra alle montagne, nel rispetto di queste. Si trattava di soluzioni ideali per l’epoca, svestite da quell’apparato di parole con il quale ci facciamo belli oggi e che spesso ci getta fumo negli occhi impedendoci di andare all’essenza delle cose.

Ancorarsi alla Terra, può significare in un certo senso ancorarsi ai bisogni reali. Così come il muretto a secco veniva costruito per rispondere ai bisogni reali dell’epoca, delimitare, racchiudere, oggi dobbiamo andare all’essenza delle cose, capendo innanzitutto qual è la natura di un problema. Vuol dire proprio questo fare innovazione. Prima di portare nuove tecnologie, prima di trovare delle soluzioni rocambolesche e futuristiche, la base dell’innovazione è capire la natura del problema e cercare poi delle soluzioni. 

L’innovazione non deve però riguardare solamente il nuovo a livello di meccaniche e dispositivi digitali, ma può anche riguardare un nuovo approccio, una nuova mentalità ed un modo nuovo di fare le cose. Lo sa bene Linda Carobbi, che ha portato nella nostra conversazione la voce delle donne che lavorano nel comparto dell’ortofrutta e dell’olivicoltura portando un nuovo punto di vista ed il concetto di “cura” che permea in ogni contesto e anche nelle pratiche agricole. Il 28,5% delle aziende agricole è a conduzione femminile, “le donne rappresentano il 70% della forza lavoro nell’ortofrutta ed hanno una visione molto inclusiva e sensibile di ciò che c’è dietro l’agricoltura”. Fare innovazione ci impone oggi più che mai di includere tutti e di focalizzarci sulle risorse ma anche sui valori essenziali.

Tornando alla “terra” abbiamo celebrato l’XI anniversario della Dieta Mediterranea. Uno stile di vita che non è un dogma, ma racchiude in sé quei valori che ci aiuteranno ad orientarci nel tempo, e ad immaginare un futuro migliore.