Spreco di salute o spreco di cibo?

C’è una ragione per cui la Settimana del Clima che si è appena conclusa a New York cede immediatamente il posto ad un altro momento internazionale centrale per quanto riguarda il cibo: la Giornata Internazionale della Consapevolezza sugli sprechi e perdite alimentari. E guardando il mondo di oggi, la risposta pare davvero evidente.

Secondo il Food Waste Index Report 2021, nel 2019 sono stati sprecati a livello globale 931 milioni di tonnellate di cibo (il 17% della produzione alimentare totale), di cui il 61% proveniente dall’uso domestico. In termini di impatto ambientale, questo significa che 3,3 Giga tonnellate di CO2 equivalente, 250 km3 di acqua (tre volte il volume del lago di Ginevra) e 1,4 miliardi di ettari di terreno (quasi il 30% della superficie agricola mondiale) sono stati emessi e utilizzati per produrre cibo che non verrà mai consumato. Con questi dati, è facile capire perché lo spreco alimentare sia sempre più riconosciuto come una delle sfide ecologiche ed etiche più critiche per l’umanità. Ma anche un grave problema sociale ed economico: infatti, lo spreco di cibo rappresenta anche un incredibile spreco di denaro in termini di costi delle risorse (1.000 miliardi di dollari di perdite all’anno per lo spreco di manodopera e di risorse materiali per la produzione di cibo), di costi ambientali (700 miliardi di dollari all’anno per lo spreco di carbonio, terra e acqua) e di costi sociali (900 miliardi di dollari all’anno per l’aumento dei costi sanitari e la perdita di produttività di individui indeboliti da carenze nutrizionali e insicurezza alimentare). Eppure, ben al di là del paradosso stesso del mondo attuale – in cui si spreca un terzo del cibo prodotto mentre il mondo intero soffre la malnutrizione, ci sono i perchè dietro queste condotte insensate a fare più male.

A livello domestico, il cibo si butta per la dimenticanza di lasciare troppo a lungo il cibo nel frigorifero, per mancanza di creatività nella gestione e nel riutilizzo degli avanzi, per un’inadeguata pianificazione dei pasti e della spesa, per pigrizia, per la tendenza a preparare e servire troppo cibo, per un acquisto quasi compulsivo di cibo, per paura di rimenerne senza.  Lo sa bene anche il nostro Paese, in cui secondo i dati riportati dal Waste Watcher Report 2022, ogni italiano spreca in media più di mezzo kg di cibo ogni sette giorni.

Eppure in tutto ciò, rimane un ulteriore tassello da considerare e che recentemente i ricercatori stanno iniziando a mettere in evidenza. Un’altra profonda piaga che sta colpendo i nostri sistemi agro-alimentari, l’eccessiva nutrizione, in realtà dovrebbe essere considerata come una nuova forma di spreco alimentare.

Il fatto che il mondo produca e consumi più cibo di quanto sia necessario per il consumo umano è ormai noto nei Paesi ad alto reddito. Studi rivelano che l’apporto calorico giornaliero di Paesi come gli Stati Uniti, il Canada e l’Europa supera le 3.000 kcal al giorno pro capite, il 30% in più rispetto al reale fabbisogno nutrizionale della popolazione urbana. Allo stesso modo, negli ultimi quattro decenni, la prevalenza globale dell’obesità è quasi triplicata e continua ad aumentare, colpendo anche i Paesi a basso e medio reddito, a causa della diffusione di cibi spazzatura ricchi di zucchero, sale e grassi in tutte le regioni del mondo.

Qual è il legame con lo spreco alimentare? I loro incredibilmente simili tratti comuni.

Infatti, sia l’eccessiva nutrizione che lo spreco alimentari sono innescati da una facile disponibilità, accesso e propensione all’acquisto di cibo.

Sia l’eccessiva nutrizione che lo spreco alimentare si basano sull’eccesso di cibo (ingerito o buttato): i dati rivelano che le persone obese consumano il 18% di cibo in più rispetto a chi segue una dieta standard.

Sia l’eccessiva nutrizione che lo spreco peggiorano la nostra impronta ambientale sulla Terra: i dati diffusi da un recente studio sull’ipernutrizione in Italia evidenziano che quanta CO2 sia emessa come conseguenza di una relazione smodata con il cibo: 6,15 Mt di CO2-eq all’anno, rispetto alla media di 1,75 t di CO2-eq delle emissioni legate all’alimentazione delle persone normopeso. Secondo questo studio, gli adulti obesi e in sovrappeso sarebbero responsabili di un incremento di emissioni rispettivamente pari a +24% e +12% di CO2-eq.

E’ date queste premesse che, dal 2016, proprio due italiani, il Prof. Mauro Serafini e la Dottoressa Elisabetta Toti, hanno sviluppato un nuovo indicatore: il Metabolic Food Waste (MFW), che ha calcolato in kg l’eccesso di cibo consumato rispetto ai bisogni fisiologici e il suo impatto in termini di impronta di carbonio, acqua e terra per sostenere la tesi che debba essere considerato come una forma di spreco alimentare. Un peso che grava come un macigno sui costi che sta pagando il nostro pianeta, e noi con esso: 140,7 milioni di tonnellate di cibo sarebbe l’impatto complessivo del MFW associato a sovrappeso e obesità e che vede Unione Europea, Nord America e Oceania in cima con i valori più alti di MFW, un impatto 14 volte più grande dell’Africa Subsahariana.

In questa lotta contro il tempo, in cui i nodi di decenni di modelli di produzione e consumo smodato stanno venendo al pettine, non è sufficiente trasformare i nostri sistemi per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, cambiamenti climatici inclusi. Dobbiamo trasformare noi stessi. Questo significa dare avvio ad abitudini e consumi responsabili e coscienziosi, iniziando a capire quanto le nostre azioni siano interconnesse.

“Questa non è solo un’occasione per trasformare i nostri sistemi e le nostre imprese, ma anche per cambiare la nostra identità umana” al servizio dell’equilibrio, ha infatti ricordato proprio in occasione della settimana del Clima a New York Colette Pichon Battle, fondatrice del Gulf Center for Law and Policy e partner di Taproots Earth Initiatives.

Questo significa abbracciare un approccio ecologico integrale, recuperando la capacità di vedere il benessere in modo olistico, in tutta la sua complessità e interrelazione, includendo il benessere psicologico, fisico, individuale, collettivo e ambientale.

Questo inevitabilmente richiede sforzi collettivi, soluzioni globali e locali e il coinvolgimento attivo di tutti gli attori del sistema alimentare: agricoltori, produttori, rivenditori e consumatori, oltre a politici, ricercatori, banche alimentari e altre ONG. La maratona di 24 ore sulle perdite e sprechi alimentari che il Future Food Institute organizza insieme alla FAO, all’UNEP e a Food for Souls il 29 settembre – Giornata Internazionale della Consapevolezza sugli sprechi e perdite alimentari – ha lo scopo di ripristinare il potere dell’unione per il benessere collettivo, condividendo lezioni e buone pratiche e accelerando il percorso verso l’ecologia integrale in tutto il mondo.

Dopo tutto, la costruzione di sistemi alimentari rigenerativi e resilienti inizia con la responsabilizzazione degli individui e la loro capacità di votare per un mondo più sicuro e più sano. Proprio partendo dalle loro forchette.

Sono profondamente grata a Silvia Lisciani, ricercatrice del CREA-Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione di Roma e co-autrice di questo articolo, che ha dato a questo articolo la profondità e la meticolosità tipiche del mondo scientifico.