Soffermarsi sull’idea di “cura” legata alla gastronomia sostenibile e ai sistemi alimentari, mai come ora, a valle di una pandemia che ha portato alla luce le patologie croniche di un pianeta malconcio e di una umanità malata, risulta essenziale.
Ma che cosa vuol dire cura? Curare significa “amministrare, farsi carico, gestire” e viene più che altro collegato con il mondo degli affari. La cura può anche essere intesa come “terapia, trattamento” o “guarigione”. Mentre il terzo significato, meno conosciuto, è quello di cura come sentimento di preoccupazione, di ansia, ma anche di sollecitudine, protezione, salvaguardia, attenzione nei confronti della sofferenza dell’altro, di protezione dei più deboli. Secondo quest’ultima definizione curare è un interessamento attento, ma soprattutto sollecito, che non si limita ad interessarsi, ma che va in profondità. Una cura intesa come investimento attivo, comportando dunque anche sentimenti di impotenza e difficoltà. In che modo l’idea di cura ha bisogno di farsi spazio nel nostro modo di pensare ed agire?
Ecologia individuale: Cura di sé
In greco esiste una parola specifica che indica la cura di sé: Epimeleia heautoù. Sentiamo spesso parlare di ecologia integrale: ma come collegare la cura di sé dunque al più ampio contesto ambientale, sociale ed economico? La cura di sé, potrebbe essere collegata all’idea di conoscenza di sé e dunque conoscenza dei propri desideri, ma anche dei propri limiti. Il conoscersi ci permette di attuare quella che possiamo chiamare un’ecologia individuale, un conoscere i limiti di un ecosistema su piccolissima scala, la nostra, di singoli individui. Come possiamo pretendere di misurare i limiti del pianeta se non conosciamo i nostri? Riportando le parole di Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Sì: “La sobrietà e l’umiltà non hanno goduto nell’ultimo secolo di una positiva considerazione. Quando però si indebolisce in modo generalizzato l’esercizio di qualche virtù nella vita personale e sociale, ciò finisce col provocare molteplici squilibri, anche ambientali. Per questo non basta più parlare solo dell’integrità degli ecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vita umana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori.” Quanto spazio c’è per questo silenzio intimo oggi nelle nostre realtà?
Ecologia sociale: Cura degli altri (ecologia culturale e sociale)
La cura di sé non può e non deve restare qualcosa di slegato dall’ambiente socio economico in cui viviamo. La cura non può essere relegata ad un ragionamento da fare nei propri spazi privati, ma c’è un forte bisogno di farla arrivare alla sfera pubblica, che è uno degli spazi nei quali ci muoviamo tutti i giorni e in cui siamo tutti co-creatori. A questo proposito la professoressa Luigina Mortari, professoressa ordinaria di pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Scienze Umane, parla di “Politica della cura” (titolo dell’omonimo libro). Secondo la professoressa, le nostre economie si sono sviluppate attorno all’idea di “uomo autonomo”, capace di autogestirsi un sistema prefissato di regole. Facendo così ci si è però dimenticati di considerare, l’idea di uomo come essere fondamentalmente fragile e bisognoso di attenzioni. Ora i nostri sistemi vanno ripensati considerando anche questo aspetto umano, che fa parte di tutti noi, e al quale si risponde con la cura nelle relazioni, che siano esse di amicizia o in ambito lavorativo. Noi crediamo che l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 17, “Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile”, sia proprio questo. Vedere i rapporti professionali, come veri e propri momenti di cura tra di noi, come esseri sociali, e per il pianeta, gli ecosistemi che viviamo. Intessere relazioni per sostenerci, per riconoscere la necessità di un punto di incontro, per riconoscerci tutti come esseri umani, fragili e bisognosi, e così facendo riconoscere la nostra dignità e rispetto reciproco:
“Agisci in modo da trattare l’umanità sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”– Immanuel Kant
Dobbiamo oltrepassare l’idea dell’eroe forte, che sudato e muscoloso combatte tutti e tutto, che è disposto a passare sopra ad ogni cosa pur di tornare a casa vincitore. Questa idea non funziona più e abbiamo un bisogno disperato di nuovi modelli “più umani” che meglio riflettono la nostra natura limitata, ma anche la nostra natura sociale, che vuole sentirsi in armonia con ciò che ci circonda. E’ per questo fondamentale sensibilizzare all’idea di collaborazione, all’idea di far parte di una comunità, delle comunità in cui ognuno è unico.
“La cura dell’altro non implica il trattarlo in modo imparziale ed eguale, bensì trattarlo sotto il profilo delle sue differenze, da eguale sotto il profilo umano e morale. Esiste una diversità dell’altro sotto la sua eguaglianza: non deve avere necessariamente i nostri stessi principi e le nostre stesse credenze, la nostra stessa morale.” —Maurizio Mercuri, Docente presso Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche
Ecologia ambientale: Cura dell’ambiente e il ruolo del cibo
Non da vedere come “terzo e ultimo step”, ma come parte del processo di cura, c’è la cura dell’ambiente, l’ecologia ambientale. Questo è da intendere come un’applicazione pratica della cura alle cose che ci circondano. Ci stiamo rendendo sempre più conto di come pensare alla Terra come una risorsa inesauribile dalla quale attingere ci stia portando alla deriva. E’ importante dunque oggi fermarsi e capire a cosa è importante dare valore. Partiamo dal cibo e prendiamolo come esempio:
“Trattare il cibo come una merce significa che solo una dimensione – la dimensione in cui può essere valutata, può essere monetizzata – quella dimensione è l’unica rilevante. Il cibo come bene comune può dare valore a tutte queste dimensioni, compresa quella commerciabile. Quindi ci dovrebbero essere altri meccanismi, oltre al mercato, che ci permettano di distribuire il cibo per tutti.” —Jose Luis Vivero-Pol, Food and Nutrition Security (FNS) specialist
Parlare di cibo e nutrizione, oggi assume tutto un altro valore; non solo economico e sociale, ma diventa il mezzo attraverso il quale l’umanità intera può contribuire a riportare un equilibrio nell’intero ecosistema. Anche gli agricoltori, I coltivatori custodi, assumono dunque tutto un altro ruolo e diventano veri e propri custodi delle aree naturali di cui si occupano. Non sarebbe dunque sensato inserire anche questi servizi all’interno del valore prodotto dal mondo agricolo? Siamo giunti ad un punto in cui non possiamo misurare più il benessere e il progresso da un unico fattore (la crescita), ma vanno guardati con un raggio più ampio e con uno sguardo a lungo termine. Questo significa andare oltre il PIL come strumento di misurazione di prosperità di un paese, per considerare anche indicatori di benessere, valorizzando attività, realtà e risorse ad oggi sottovalutate o non misurabili in termini esclusivamente economici. Dobbiamo inserire la parola “cura” nelle nostre economie.
Un esempio concreto di questo avanzamento ce lo sta dando l’università di Stanford che ha pubblicato uno studio nel quale introducono al concetto di Prodotto Ecosistemico Lordo per inserire anche la natura nel processo decisionale economico e politico.
Ed è proprio in occasione del Sustainable Gastronomy Day che vale la pena evidenziare gli esempi virtuosi che si sono consolidati nei secoli e possono darci oggi spunti preziosi per programmare la ripartenza. Prima fra tutti, la “Dieta Mediterranea”, dichiarata dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità in quanto “molto più che un semplice elenco di alimenti […] perché capace di promuovere l’interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base di usanze e rituali e si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, garantendo la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo” che si concretizzano nella vita delle Comunità Emblematiche che la rappresentano. Un’idea di cura che proprio a Pollica (Comunità Emblematica italiana per la Dieta Mediterranea riconosciuta dall’UNESCO) si manifesta in ognuna delle tre dimensioni. Pollica, Città Slow famosa per i suoi centenari e ed il piacere del convivio, è diventata anche un simbolo ed un modello per l’Italia intera, grazie alla missione del Sindaco Angelo Vassallo, che ha dato la vita per la rigenerazione e lo sviluppo della sua terra, ma che si è anche adoperato per il riconoscimento della Dieta Mediterranea come vero e proprio “stile di vita” rappresentato appieno dall’intera comunità del Cilento. Oggi a Pollica comprendiamo l’importanza e la responsabilità di educare le nuove generazioni alla “cura” per lo sviluppo sano dei territori, e la tutela dei saperi e dell’ambiente che ci accoglie in piena armonia con il concetto di ecologia integrale.
La gastronomia, diventa quello strumento che utilizza il cibo come lente per comprendere le relazioni nascoste che connettono l’uomo con l’ambiente che lo circonda, studiando i diversi aspetti della società non solo dal punto di vista culinario, ma anche considerando gli aspetti ecologici, filosofici, etici, antropologici, chimico-fisiologici, storici e culturali che implicano i modelli di produzione, approvvigionamento e consumo di cibo. In questo sistema intricato di relazioni, idee, alimenti e persone che noi vogliamo portare l’idea di “cura”.