Giustizia sociale, giustizia ambientale, giustizia economica: le tre dimensioni per un presente e futuro più giusto

Dal 2007, il 20 febbraio è divenuta ricorrenza per celebrare la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale.  Mai come in questo periodo si anela ad un concetto di giustizia capace di toccare diversi fattori e di ridimensionare le grandi disuguaglianze che caratterizzano i nostri tempi.

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(In)-Giustizia economica: la pesante recessione economica globale innescata da un virus non ancora debellato, fotografa economie nazionali sempre più indebolite, polarizzate e sbilanciate. Il virus della disuguaglianza”, così lo ha formalmente definito l’Oxfam nel report presentato a Davos 2021, in cui i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri e marginalizzati. Con previsioni di 150 milioni di nuovi poveri (in condizioni di povertà estrema) entro la fine di quest’anno come rivela la Banca Mondiale, la forbice economica sembra essere una costante in quasi tutti i paesi del mondo.

(In)-Giustizia Ambientale. I segni concreti del cambiamento climatico sono evidenti in ogni dove. Eppure, sempre più spesso emerge come, per assurdo, proprio coloro che meno contribuiscono all’alterazione antropogenica del clima, sono le maggiori vittime dei  cataclismi climatici più estremi. Accanto a piccole isole che rischiano la completa sommersione o ad economie tradizionali e di comunità, come quelle artiche, che rischiano l’estinzione”, anche le migrazioni climatiche dal Sud del mondo – sempre più a rischio siccità – rappresentano una delle piaghe più profonde di questa nostra epoca, generando sfollamenti e alimentando conflitti e povertà, individuale e nazionale.

(In)-Giustizia Sociale. La crisi sanitaria e la profonda stagnazione economica rallenta i paesi e blocca le persone. Solo nell’ultimo anno, le percentuali di NEET (persone non sono impegnati né nello studio, né nel lavoro, né nella formazione) hanno raggiunto il 24%. Solo in Italia 50.000 imprese, tra bar e ristoranti, hanno dovuto chiudere le loro attività nel 2020, creando delle profonde lacerazioni psicologiche e sociali. Contesto sempre più aggravato dalla difficoltà del mercato lavorativo di adattarsi alle nuove forme professionali che richiedono costante accesso ad internet e agli individui di sopperire ad un sempre più marcato divario digitale. 

Il rischio di creare una “sottoclasse proletaria digitale” è chiaramente incluso tra i fattori di rischio globale nel Report 2021 del World Economic Forum, fino a spingere alcuni Paesi, come il Giappone, ad iniziare a considerare come parte integrante della sanità pubblica un’efficace prevenzione del suicidio.

Un  impatto sproporzionato ed un recupero ineguale quello all’interno di diversi settori professionali, come definito dalla stessa Organizzazione Mondiale del Lavoro (ILO).

Si tratta di un contesto delicato, a cui sommare altre e altrettanto profonde e diffuse emergenze globali: l’insostenibilità del nostro sistema alimentare, l’emergenza sanitaria, la precarietà diffusa  della salute mentale e la crisi informativa.

Punte di iceberg che il disgelo provocato dalla pandemia sta rendendo sempre più noti. Così come gli stretti legami che li accomunano.

Difatti,  non possiamo ambire ad un’economia più giusta senza inclusione sociale. 

Non è possibile arrivare ad una transizione ecologica senza avere cura anche degli esseri umani , promuovendo al contempo giustizia sociale ed economica.

Ce lo ha chiaramente dimostrato il prezzo che stiamo pagando per il cambiamento climatico, che non è esclusivamente limitabile ad una questione ambientale, ma tocca la sfera economica, energetica, alimentare, sociale, razziale, economica, addirittura identitaria di popoli e nazioni. Ora è il momento per una reale collaborazione multilivello e multidisciplinare per implementare il “Marshall Plan per il Pianeta”, come ha dichiarato Paul Polman alla fine dello scorso anno.

Per fortuna, il mondo sembra stia iniziando a cogliere il bisogno di muoversi verso visioni integrate e a lungo termine, più eque ed inclusive, provando quanto meno a favorire un dialogo tra le diverse parti.

Un primo forte segnale, viene proprio dagli Stati Uniti. Il nuovo Presidente Joe Biden ha posto il clima al centro del suo piano economico, istituendo due nuove figure,  quella di climate czar (Gina McCarthy), che si occuperà di coordinare le agenzie federali per adempiere all’agenda del clima negli Stati Uniti e climate envoy (John Kerry), che si occuperà di coordinare i negoziati e le azioni internazionali sul clima.

Un impegno che si somma alle intenzioni della seconda superpotenza economica, la Cina, che ospiterà quest’anno la Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità e che ha dichiarato la sua intenzione di diventare carbon neutral prima del 2060.  

Anche il nostro Paese, che quest’anno ha l’onore e l’onere di assumere la presidenza del G20 e che è stato chiamato a co-organizzare – insieme al Regno Unito – la Cop26 sui cambiamenti climatici, sta mostrando con il nuovo governo Draghi la chiara intenzione di sviluppare un piano di ripresa e resilienza orientato alla tutela ambientale, così come inscindibilmente intrecciato al progresso e al benessere sociale. Una ripartenza che vede nel dialogo con le associazioni ambientaliste un primo passo all’approccio multi stakeholder, nella tutela ambientale il fil rouge delle varie azioni governative, le diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane” come ha definito lo stesso presidente Draghi.

Così come dal Regno Unito, che ospiterà formalmente a Glasgow la 26 Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, in cui il Ministero delle Finanze ha autorizzato ad effettuare uno studio completo sull’importanza economica del mantenimento della varietà della vita sulla Terra (Dasgupta Review), così come l’intenzione di diventare il primo paese al mondo a richiedere la divulgazione del rischio climatico in tutta l’economia. 

Segnali di commistioni tra settori che danno una speranza per questo 2021, l’anno del clima e l’anno del cibo. L’umanità ora chiede fiducia. Fiducia dalle istituzioni, dalle politiche, nazionali ed internazionali, dalle imprese, dai leader nazionali, dalle notizie, per una transizione che consideri l’uomo come parte integrante dell’ecosistema sociale, economico ed ambientale.

“La globalizzazione è buona se è poliedrica, cioè se ogni popolo è unico e mantiene la propria identità. Appiattire le differenze fa solo male e non serve a nulla, è una gigantesca perdita per tutti.” – Terra Futura – Papa Francesco 

 

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