Overshoot Day. Ci stiamo mangiando il “mondo”.

22 Agosto – Overshoot Day 2020

Oggi è il giorno che segna l’esaurimento delle risorse che la Terra è in grado di rigenerare. Il nostro debito con il Pianeta continua inesorabilmente ad aumentare. 

Anche quest’anno possiamo calcolare (grazie al Global Footprint Network) quando esattamente l’intera umanità ha estratto, nonostante grandi differenze tra Paese e Paese. Abbiamo usato tutta la biocapacità rigenerativa della Terra, disponibile per quest’anno, facendo così aumentare il nostro “debito ecologico”. 

Tanto per avere un’idea, nel 1961, l’umanità aveva utilizzato solo il 73% delle risorse biologiche che la Terra poteva rinnovare quell’anno. Quest’anno, invece, l’umanità utilizza il 160% di ciò che la biocapacità della Terra può rinnovare quest’anno, che significa il 60% in più di quanto si possa rinnovare. 

Global Footprint Network and Biocapacity Account 2019

Global Footprint Network and Biocapacity Account 2019

 

Ci comportiamo cioè come se vivessimo su 1,6 pianeti.

La buona notizia, scrive qualcuno, è che questa giornata nel 2020 è arrivata 3 settimane dopo rispetto allo scorso anno, come se spostare avanti nel calendario questa giornata fosse una vittoria o ancora il segno che l’umanità si sta svegliando da questa ossessione per l’iper sfruttamento irresponsabile. 

Global Footprint Network’s National Footprint and Biocapacity Accounts, which are updated annually. You can explore the latest results of the National Footprint Accounts 2019 Edition at data.footprintnetwork.org.

Global Footprint Network’s National Footprint and Biocapacity Accounts, which are updated annually. You can explore the latest results of the National Footprint Accounts 2019 Edition at data.footprintnetwork.org.

In realtà, lo spostamento in avanti è dovuto alla pandemia, che ha causato la contrazione dell’Impronta Ecologica mondiale, facendolo però per cause eccezionali e non certo per una riscoperta coscienza ecologica e la conseguente implementazione di nuovi e necessari modelli di sviluppo sostenibile. Siamo semplicemente stati costretti a fermarci, a interrompere le nostre attività. E non è certo questa la consolidata soluzione di cui abbiamo bisogno, per cambiare radicalmente il nostro approccio al consumo delle risorse naturali. 

Rispetto allo scorso anno, la riduzione  dell’Impronta Ecologica dell’umanità tra il 1° gennaio e l’Earth Overshoot Day è stata di circa del 9,3% 

Il lockdown diffuso ha generato un cambiamento repentino dei nostri comportamenti impattando in modo considerevole sulla mobilità mondiale e sulle nostre abitudini alimentare, costringendo interi settori a ridurre drasticamente o stravolgere in modo considerevole modelli consolidati. Dove mangiamo? Cosa mangiamo? Come mangiamo? Con chi mangiamo?

La riflessione che questi dati ci spingono a fare nell’ambito del settore agroalimentare è che possiamo azzerare l’Overshoot Day un morso alla volta, partendo dalla consapevolezza rispetto alla quantità di spreco di risorse naturali che i “food systems” in ogni parte del mondo, ogni giorno, generano. 

Oggi infatti il modo in cui produciamo, trasformiamo, distribuiamo, commercializziamo, consumiamo cibo non è più sostenibile. Stiamo assistendo certamente al proliferare di nuove tendenze di consumo alimentare più green, ma a livello planetario siamo ancora indietro rispetto agli standard necessari per “aggiustare” i sistemi agroalimentari e registrare un impatto zero sull’ambiente. Modelli produttivi “rigenerativi” ed consumo consapevoli, al di fuori di mode e stereotipi, sono ancora un casi eccezionali, non normalità.

Insomma, cambiare come e cosa mangiamo è un potente – ma spesso trascurato – strumento di azione per il clima. La riduzione dello spreco di cibo è una delle soluzioni generalmente riconosciute andare in una direzione ecologica. Una dieta sostenibile fa bene alla salute dell’uomo e a quella del Pianeta ed è un’arma fondamentale per affrontare la crisi climatica, come dimostrato anche dal Project Drawdown, che sancisce l’impatto delle diete sull’ambiente come maggiore rispetto agli approcci maggiormente pubblicizzati dagli ambientalisti, come i pannelli solari e i veicoli elettrici. 

Ciò significa che chi desidera fare la differenza non deve guardare oltre la cucina.

Fa ben sperare che i millennials e la generazione Z, che insieme costituiscono oltre la metà della popolazione globale – risultano essere più sensibili rispetto al legame cibo/cambiamento climatico e più ricettivi rispetto a messaggi, basati sulla scienza, relativi ad una alimentazione rispettosa del clima e dell’ambiente. Messaggi che vengono decodificati e promossi, tra le altre iniziative, da Food for Climate League, un progetto nato negli Stati Uniti di cui Future Food Institute assieme a Google è tra i partner principali. La fondatrice del progetto Eve Turow-Paul, in una recente intervista al Washington Post ha dichiarato al riguardo: “troppo spesso le iniziative legate al clima mirano a motivare attraverso la statistica e la paura. Eppure, l’informazione da sola non cambia le abitudini – basta guardare i tassi forfettari di consumo di frutta e verdura negli Stati Uniti, nonostante decenni di campagne creative molto ben intenzionate e incentrate sull’educazione. E i racconti di un futuro apocalittico spesso scatenano emozioni difficili che possono spegnere le persone invece di scatenare l’azione”. 

La direzione indicata dai Green Deal e dalla strategia Farm 2 Fork annunciata dall’Europa fanno ben sperare, e si cominciano a delineare indicatori e modelli di riferimento per l’industria che (a scoppio ritardato) stanno dando vita ad un profondo processo di trasformazione dei modelli produttivi. Ma tutta la comunità deve collaborare.

Per abbassare l’impronta ecologica ed evitare di contare overshoot days sempre più vicini (fatta eccezione per eventi straordinari, dagli effetti devastanti come sperimentato con la Pandemia) è importante partire dalle nostre quotidiane abitudini alimentari. I messaggi da diffondere per trasformare comportamento dei consumatori devono trovare un linguaggio e strumenti più efficaci perché l’alimentazione sana-sostenibile sia democratizzata e non sia più un argomento di nicchia. 

Quando sarà chiaro a tutti che le abitudini alimentari sostenibili sono anche convenienti, nutrienti, collante ideale tra noi e le nostre comunità locali, agente di autorealizzazione e collegata con i bisogni umani essenziali per la sicurezza, la comunità e lo scopo, allora sarà più naturale tendere a sistemi agroalimentari rigenerativi e spostare, questa volta in modo sano e programmato, l’overshoot day sempre più in là, fino a farlo del tutto scomparire. 

Siamo consapevoli che la rivoluzione necessaria è prima di tutto culturale e strettamente legata all’educazione.Così, al Global Climate Summit del 2018, Future Food Institute ha dato il via al programma “Future Food for Climate Change” che oggi assieme alla FAO educa e forma “Climate Shapers”, esperti, chef, agricoltori, scienziati, manager, innovatori che ambiscono a invertire l’impatto negativo sull’ambiente  partendo dal “food”. 

Cambiare il mondo un morso alla volta, si può, ma dobbiamo farlo tutti, e dobbiamo farlo insieme.