Hangzhou, 2016. C’è chi l’ha definita “Silicon Valley in the East Heaven of Entrepreneurship”: Hangzhou è una città dove architetture maestose, tecnologia futuristica e luci affastellate su uno skyline tutto asiatico tolgono il fiato, in contrasto con la natura da bonsai garden e le coltivazioni di tè a perdita d’occhio che si estendono tra le colline, il Qiantang river ed il West Lake.
Da qualche ora è terminato il summit del B20 con un passaggio di testimone alla Germania che nel 2017 ospiterà il grande raduno. Organizzazione impeccabile, 40.000 addetti delle forze dell’ordine, 17.000 volontari, strade deserte, imprese chiuse, una città fantasma che conta generalmente oltre 7 milioni di abitanti, invitati a lasciare l’area per alcune settimane per poter ospitare il B20 ed il G20 nel massimo dello splendore.
Quarantotto ore di incontri e dichiarazioni che hanno visto coinvolte le più alte cariche politiche internazionali; il risultato di mesi di consultazioni e confronti che hanno prodotto un messaggio che oggi il mondo dell’impresa mondiate ha consegnato nelle mani dei Capi di Stato impegnati al G20.
B20 e G20 sono due “community”: la prima raccoglie le imprese, la seconda i governi, che devono lavorare insieme per uscire da una situazione di troppo lenta ripresa, durata troppo a lungo e con il coinvolgimento di “pochi”, come sottolineato in apertura da Christine Lagarde, direttore operativo dell’FMI. Un tandem istituzionale fatto di confronti, raccomandazioni, proposte concrete e piani d’azione capaci di coinvolgere oltre 800 delegati con cinque Task Force: Finance and Growth, Trade and Investment, Infrastructure, Employment, SME development, Anti-Corruption.
Dall’Italia i delegati al G20 YEA, noi Giovani di Confindustria eravamo in tre, impegnati su differenti tavoli di lavoro: l’imprenditore Andrea Bos nel 2015 coinvolto nella Task Force Trade and Investment ed oggi nel gruppo Employment e Luca Donelli, che a Bruxelles presiede la Confederazione che rappresenta oltre 40000 giovani imprenditori dal Vecchio Continente: lui ha partecipato, con me, alla Task Force dedicata allo sviluppo delle PMI.
Le premesse per un manifesto volto all’innovazione e alla crescita delle economie del G20 ci sono tutte e le aspettative per il dopo sono alte, naturalmente, ma la coesione che ci lega in questa alleanza intercontinentale sembra forte e la direzione che si vuole intraprendere è ben delineata: verso l’innovazione digitale come ascensore di benessere per le nuove generazioni e ponte commerciale con nuovi mercati; verso una maggiore armonizzazione normativa che consenta a tutti i gli attori economici del mondo di giocare secondo le stesse regole; verso l’inclusione più profonda di donne e giovani, investendo sull’educazione; verso un’unione d’intenti e di valori che garantisca una competizione pacifica e una cooperazione produttiva tra le economie che stanno attualmente tracciando il sentiero del futuro.
Tra le proposte avanzate dal nostro B20, con destinatario il G20, c’è la SMART Innovation Initiative, che consiste nella creazione di un bacino globale per la condivisione di know-how, risorse, conoscenze e idee: un vero e proprio open network, un crocevia che abbia come immissari governi, università, centri di ricerca, settore pubblico e settore privato per incubare e accelerare l’innovazione tecnologica di cui il nostro sviluppo economico ha bisogno. Il nome “SMART” non è un’autoproclamazione di acume da parte dei promotori del progetto, bensì un acronimo che sta per “Sustainable innovation, Massive public platform, Accessible network, Revolutionary reform e Technological innovation”. Anche l’idea di una Global Infrastructure Connettivity Alliance è davvero ottima: un vero e proprio progetto di investimenti internazionali in infrastrutture (strade, ponti, porti, ferrovie…) che possa affiancare un network di connessioni fisiche a quello delle idee, già in fermento. Da non trascurare, infine, l’esplicito invito ai paesi del G20 affinché implementino una piattaforma elettronica per il commercio globale, come suggerisce la eWTP Initiative, pensata per favorire il dialogo tra pubblico e privato in un’ottica totalmente no-profit, in modo da lubrificare il percorso legislativo di policy a favore di e-trade ed e-commerce, sia B2B che B2C.
L’International Entrepreneur Rule portata avanti dall’amministrazione Obama è il perfetto esempio del tipo di policy che le iniziative di cui sopra intendono promuovere: pur con le sue criticità, è innegabile che questa riforma vada nella direzione giusta. Rendere più agevole l’avvio di startup e aziende “beyond borders”, come si dice, è una priorità assoluta per le nostre economie e quindi per la nostra politica. Il punto è che dobbiamo smetterla di pensare che si possa prescindere dai rapporti tra civiltà diverse: noi italiani lo sappiamo bene perchè sono stati i nostri avi che, a partire da Roma, hanno inventato la globalizzazione. E sono stati i nostri nonni che, dalla Sicilia al Veneto, hanno ingrossato le file dell’immigrazione verso le Americhe, portando il genio italiano (anche se a volte non solo quello, purtroppo) là dove oggi i nostri cognomi prosperano ai piani alti dei grattacieli del mondo.
Ecco perché, in quest’ottica, dovremmo guardare con favore all’accordo a beneficio dell’agroalimentare Made in Italy siglato dal premier Matteo Renzi con Jack Ma, fondatore di Alibaba, l’Amazon cinese che ha la propria sede operativa a Hangzhou. L’obiettivo di lungo termine è di arrivare a 10 miliardi di euro di esportazioni italiane in Cina. Con questo accordo solo la vendita di vino nostrano raddoppierà da 100 a 200 milioni. Inclusa nelle stretta di mano un altro dettaglio fondamentale: la tutela del marchio Made in Italy: Alibaba si impegna a bloccare la vendita di prodotti contraffatti come formaggio “Parmesani” e Prosecco tutt’altro che veneto, in modo da spingere i prodotti autenticamente italiani. Se l’accordo si manterrà su queste posizione genuine di libero scambio l’Italia ha solo da guadagnare dall’aprirsi al mondo.
E infatti questo summit si tiene ogni anno nella consapevolezza che più si va avanti e meno ci si può permettere di ignorare la civiltà globale che si staglia davanti ai nostri occhi, sui nostri giornali, nelle nostre scuole. Dobbiamo informarci viaggiando, conoscere i nuovi mondi, e formarci non subire quell’informazione che costantemente mette in evidenza solo polemica poco costruttiva. E’ banale a dirsi ma la spinta che ci muove ad investire tempo ed energie è la convinzione che un mondo globalizzato e sempre più digitale sia inevitabile, mentre un mondo più giusto e più libero, con opportunità per tutti, sia molto più difficile da realizzare senza una vera alleanza che persegua obiettivi comuni. Noi vogliamo essere questa alleanza. Ci proviamo.