Il 27 Ottobre 2020, Future Food Institute ha ospitato sulle proprie piattaforme digitali la presentazione del libro “Cibo Sovrano, le guerre alimentari globali al tempo del virus” scritto da Maurizio Martina, ex Ministro delle Politiche Agricole Agroalimentari e Forestali.
Abbiamo dato vita ad una discussione sull’importanza della geopolitica dei sistemi agroalimentari e dei relativi impatti a livello nutrizionale, sociale ed ambientale e lo abbiamo fatto con Sergio Costa, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e con il Capo della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, Antonio Parenti. Lo abbiamo fatto aprendo la discussione alle giovani e ai giovani di Romanae Disputationes, che ci hanno posto delle domande di grande attualità ed interesse, espressione tangibile dell’enorme lavoro svolto dall’Istituto, nonché dall’Associazione “Amore per il Sapere” che coinvolge le nuove generazioni in discorsi filosofici stimolandolo alla comprensione della complessità che ci troviamo quotidianamente ad affrontare, particolarmente accentuata dal momento storico che stiamo vivendo.
E quale complessità è più grande di quella dei sistemi agroalimentari? E soprattutto quale momento storico più critico per coinvolgere i giovani in discussioni di così grande importanza per il loro futuro?
Ecco il video dell’evento:
Nella discussione abbiamo sottolineato proprio come la complessità dei sistemi agroalimentari non possa essere banalizzata, ma vada abbracciata adottando un approccio olistico e una mentalità sistemica, in grado di cogliere le interconnessioni dei sistemi dal punto di vista identitario, culturale, sociale, sanitario ed ambientale, prima ancora che economico. Il cibo infatti non può essere trattato alla stessa stregua di una qualunque commodity, perché ha delle implicazioni troppo forti con la vita stessa dell’umanità sul Pianeta da cui quel cibo proviene.
Oggi siamo nel pieno di 3 crisi che si stanno auto alimentando: quella ambientale, quella sanitaria e quella alimentare. Viviamo cioè un tempo che richiede di affrontare i paradossi, accelerare i processi verso la transizione green e riequilibrare i sistemi agroalimentari tenendo bene in mente il concetto di ecologia integrale, sia a livello mondiale che a livello locale. Paradossi e disequilibri che la pandemia ha reso ancora più visibili ed acuti. Basti pensare che in Italia proprio nel periodo della pandemia, gli assistiti dal Banco Alimentare sono cresciuti del 40%. Un dato preoccupante che restituisce la fotografia di un Occidente in crisi, non immune dai problemi di disoccupazione, crollo dei redditi, incapacità di sfamarsi.
Questa, però, è anche l’Italia che si prepara ad accogliere il G20, essendole stata assegnata nel 2021 la Presidenza di uno degli incontri più importanti del Mondo. Ci siamo chiesti e ci chiediamo, quindi, se questo appuntamento possa segnare la istituzione di un’agenda unica sul settore agroalimentare, che eviti esternalità pericolose per l’ambiente e che armonizzi le regolamentazione di un settore con così tante implicazioni per la vita sulla Terra. Di questi temi ho scritto qui.
E ancora, questo è il Paese che ospiterà a Milano la Pre COP26, insieme proprio a quel movimento giovanile al quale stiamo lasciando un Pianeta malato e che vogliamo e dobbiamo coinvolgere sempre di più ai tavoli politici e tecnici che si occupano del loro futuro.
E nessun tema è più urgente e importante di quello che tratta la relazione tra cibo e ambiente. Il nostro evento, nel suo piccolo, è stato un modo per riflettere questa logica: coinvolgere i giovani; aprirsi al dialogo su materie complesse; seguire le vie della geopolitica internazionale attraverso percorsi a ritroso delle filiere agroalimentari; guardare ai disequilibri, ai paradossi e riflettere sulle azioni da intraprendere con urgenza, in quella che l’ONU ha definito la “decade of action” e farlo nel framework generale degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.
A sottolineare la relazione tra cibo e ambiente è stato il Ministro Costa, che in particolare ha fatto esplicito riferimento all’etichettatura, tema molto dibattuto anche in Europa. L’etichettatura è infatti consapevolezza e, per usare le parole del Ministro, “Non basta più leggere sull’etichetta se un prodotto è biologico oppure no. Io voglio sapere quanto del mio pianeta è stato consumato lì dentro e quanto dei diritti fondamentali dell’uomo stanno dietro a quel prodotto, perchè voglio consapevolezza”. La carbon footprint, la water footprint, l’informazione sul rispetto di protocolli etici sulla sicurezza sul lavoro, la garanzia che non si sia ricorso al caporalato, la provenienza del cibo da Paesi che non pratichino la deforestazione più selvaggia: tutte queste informazioni ci riportano al prezzo del cibo che mangiamo, che quindi va molto al di là del costo economico. Oggi più che mai è indispensabile porsi il problema della consapevolezza, di cosa il consumatore consuma e come lo consuma. Tale consapevolezza va messa al centro di un processo necessario di ecologia integrale, concetto espresso anche da Papa Francesco. Di nuovo, si paventa la necessità di un approccio olistico e di una mentalità sistemica, che renda chiaro quanto la sostenibilità sia strettamente legata anche alla biodiversità, consci che oggi abbiamo perso il 75% della biodiversità delle colture e che solo 9 specie commestibili producono il 70% dei nostri prodotti alimentari. Tutti temi che devono essere al centro del G20 e della Pre COP26 che l’Italia si accinge ad ospitare.
Lo evidenzia anche Antonio Parenti: “E’ chiaro che di fronte a queste sfide [ndr. alle crisi, ai cambiamenti climatici e alla pandemia] che sono tremende non c’è una risposta univoca. Quello che emerge dal libro di Maurizio Martina è una paletta di varie scelte che devono essere perseguite a livello nazionale e a livello europeo. E credo che in queste possibilità l’Italia si trovi in una posizione avvantaggiata per la sua diversità, la sua storia la sua biodiversità, ma anche per la necessità di recuperare un terreno in parte perso”.
La chiamata è a ciascuno di noi. Tutti dobbiamo fare la nostra parte. E, in questo contesto, non possiamo consentire che la pandemia tenti qualche Paese a fare retromarcia sui processi di globalizzazione, che erano in atto. Chiudere le frontiere non è di certo la soluzione, piuttosto si dovrebbero allineare anche politiche fiscali in armonia con tali processi. E’ di nuovo Antonio Parenti a sottolinearlo: “Non possiamo chiuderci. In questi anni con la globalizzazione la povertà è diminuita. Il problema è che a livello di paesi sviluppati, a livello di liberalizzazione dei commerci non è andato di pari passo ad una politica fiscale. C’è stato dunque un forte squilibrio di redditi all’interno delle nostre aree economiche e quindi un impoverimento delle classi più basse.” Un mondo più interconnesso, capace di condividere buone pratiche, più sostenibile e più consapevole è possibile. E l’Italia può e deve giocare un ruolo di primo piano in questa partita, perché non ce ne sarà un’altra.