Italia alla presidenza del G20: quali politiche globali per i sistemi agroalimentari?

Il 2021 è l’anno del cibo. L’Italia è pronta? 

<Nessuna protezione dalle pandemie a meno che non si aggiustino i sistemi agroalimentari>.

Apre così la sua lettera al G20 (primo forum mondiale per la cooperazione economica internazionale), Gunhild Stordalen, fondatrice e presidente di EAT Foundation, la prestigiosa fondazione norvegese che si occupa di trasformazione dei sistemi alimentari. 

La lettera ha fatto il giro del mondo e se n’è cominciato a discutere negli ambienti che si occupano di lobbying e di advocacy, dove è diventata un grido che pone la questione della pandemia sotto una luce diversa e legata a doppia mandata proprio alle politiche agroalimentari.

E in Italia? 

Chi si è occupato di portare questo importante tema all’attenzione di istituzioni, dell’industria e dei media? 

In Italia il dibattito dovrebbe essere particolarmente acceso sul contenuto di quella lettera.

L’Italia, infatti, gioca un ruolo fondamentale perché da Gennaio 2021 assumerà la presidenza del G20, prendendone il testimone dall’Arabia Saudita.

È la prima volta in assoluto che l’Italia è chiamata a tale presidenza. Una presidenza che arriva in un momento storico senza precedenti, con una crisi sanitaria in corso che sta colpendo duramente il Mondo e in particolare proprio il nostro Paese. E’ al G20 che si capiranno davvero gli impatti a livello economico, finanziario, ma anche sociale di questa pandemia, in un momento in cui – come stima il FMI – è previsto un crollo del PIL mondiale di circa il 5% con livelli di indebitamento pubblico paragonabili a quelli della II Guerra Mondiale. In questo contesto, l’Italia potrebbe ribadire il proprio ruolo di leadership nel settore agroalimentare, la gestione delle cui disfunzionalità risulta propedeutica ad affrontare la crisi sanitaria e i relativi gravi impatti che questa sta generando.

I diplomatici italiani stanno lavorando in questi mesi all’importante appuntamento internazionale. Saranno in prima linea il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Ministero degli Esteri Luigi Di Maio ed il consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio e Sherpa G7/G20 Piero Benassi, che recentemente su Formiche.net, ha dichiarato

«dovremo puntare sulla valorizzazione di quei beni pubblici – People, Planet, Prosperity, Public Health –  che sono condizione per prevenire ed affrontare shock come quelli che stiamo vivendo e immaginare un nuovo modello di sviluppo».

Una visione del tutto in linea con quella dell’ONU e del raggiungimento dei Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.  

Altri protagonisti per l’Italia sono l’ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale – che presiederà il forum dei think tank, e Confindustria che presiederà il B20, il business forum che rappresenta la voce del settore privato e dell’imprenditoria all’interno della comunità del G20. Questi, quindi, gli interlocutori privilegiati a cui ci rivolgiamo in Italia nel farci portavoce di un contenuto che condividiamo pienamente.

Il G20 avrà la responsabilità di guidare la ripresa dell’economia globale dalla crisi del Covid-19. Una ripresa che non è possibile senza trasformare la produzione e il consumo di cibo. Il G20 rappresenta l’85% dell’economia mondiale e i tre quarti del commercio mondiale e può quindi essere assolutamente determinante nelle scelte virtuose che possano tirarci fuori dalla crisi attuale e invertirne strutturalmente la rotta.

g20 countries

Noi di Future Food Institute abbiamo rintracciato nelle parole di Gunhild Stordalen un messaggio che sentiamo di condividere pienamente e di portare all’attenzione del nostro Paese, proprio mentre mentre si prepara ad accogliere il G20.

Il G20 assuma un ruolo guida nella definizione di un programma d’azione coordinato che possa garantire un futuro alimentare sano, sostenibile ed equo per l’umanità.

La pandemia, come ha detto Massimo Bottura, “ha reso visibile l’invisibile” e cioè ha messo a nudo i rischi dei sistemi agroalimentari mondiali sia come causa della crisi sanitaria, sia come amplificatore dei suoi effetti. 

Come causa, in quanto il virus si è diffuso nei mercati dove l’uomo è venuto a contatto con animali infetti (sebbene l’origine del virus sia ancora ampiamente dibattuta, come pure si legge nella rivista Lancet). Come effetto, in quanto è dimostrato che obesità e malattie associate al cibo aumentano la mortalità da Covid-19, e in quanto le disuguaglianze e la vulnerabilità legate al cibo aumentano la carenza di cibo stesso, spostano i lavoratori e interrompono le catene di approvvigionamento. A questo proposito: l’espansione del consumo di alimenti malsani è una delle cause principali del rapido aumento dell’obesità, del diabete di tipo 2, delle malattie cardiovascolari e della malnutrizione, tutti fattori che stanno aumentando il numero di morti di Covid-19 in tutto il mondo. Questo si aggiunge agli 11 milioni di persone che muoiono prematuramente ogni anno a causa di malattie legate all’alimentazione e alle enormi disuguaglianze di accesso e di reddito presenti nei nostri sistemi alimentari. 

Siamo quindi d’accordo con Gunhild: una ripresa consistente dal Covid-19 può essere raggiunta solo trasformando radicalmente i nostri sistemi alimentari. 

Il ritmo crescente di malattie infettive passate dagli animali agli uomini ha seguito il ritmo crescente della espansione della produzione alimentare, soprattutto di quella produzione legata al commercio di animali selvatici e l’intensificazione degli allevamenti. 

Peraltro, l’aumento della pressione sulla natura, fa aumentare il rischio di nuove pandemie, potenzialmente molto più pericolose di quella che stiamo vivendo. 

Il cambiamento climatico rende la situazione ancora più grave e stanno continuando ad aumentare le disparità per cui i vulnerabili del pianeta lo sono sempre di più. 

Nella lettera aperta, si fa anche riferimento alla relazione della Commissione EAT-Lancet su Alimentazione, Pianeta, Salute, al Rapporto di Valutazione Globale su Biodiversità e Servizi Ecosistemici e al Rapporto Speciale del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, per sottolineare che il modo in cui produciamo e consumiamo (e sprechiamo) il cibo è al centro della attuale crisi climatica, della crisi dell’estinzione e della crisi sanitaria legata anche alle diete e all’aumento della domanda di cibo. 

Bisogna quindi prima di tutto investire verso sistemi alimentari sostenibili, sani ed equi. 

L’espansione di un’agricoltura non sostenibile e di un consumo non equilibrato, fa aumentare le emissioni di gas serra, distrugge gli ecosistemi, accelera la perdita di biodiversità e aumenta il rischio di diffusione di virus dagli animali alle persone. 

La produzione e il consumo di cibo moderno stanno minando i principali che proteggono l’umanità da ecosistemi nocivi e diete sane. Tutte le prove che abbiamo oggi dimostrano che se vogliamo ottenere una ripresa resistente dalla crisi generata dalla pandemia COVID-19, se vogliamo evitare future pandemie e avere la possibilità di raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e l’Accordo di Parigi, dobbiamo concentrarci sul cibo.

Il G20 può guidare questa inversione di rotta. E può farlo dall’Italia, Paese riconosciuto a livello mondiale proprio per la sua cultura legata al cibo, per la qualità dei suoi alimenti e per stili di vita, culla di movimenti di pensiero e modelli che in Italia hanno avuto origine e si sono affermati nel mondo, Slow Food e Dieta Mediterranea. 

L’umanità sta alterando la biosfera così velocemente che la capacità della Terra di sostenere l’umanità è a rischio. Abbiamo bisogno di nuovi modi di governare e di risolvere i problemi, e di nuovi approcci all’economia del cibo, con la collaborazione per il bene comune come principio fondamentale, ancorato tanto alla scienza quanto ai diritti umani, alla dignità umana per tutti. 

Sono questi i principi che muovono anche il nostro impegno quotidiano, nel lavorare al fianco dell’ONU – come abbiamo fatto per il World Food Day, in una maratona di 24 ore che ha messo insieme oltre 100 speakers tra chef, innovatori, attivisti, diplomatici, media, industriali e agricoltori -, così come al fianco di imprese che vogliono allinearsi agli SDGs e vogliono profondamente avere impatti positivi dal punto di vista culturale, ambientale, sociale e non soltanto economico, che è un punto di vista troppo parziale quando ci si occupa di cibo. 

Stiamo vivendo un’era in cui anche la leadership è in forte crisi. Lo è perché stiamo combattendo un nemico invisibile e lo facciamo nell’era in cui le opinioni sembrano contare più dei fatti, che sono sempre più incerti da intelleggere e rispetto ai quali prendere decisioni davvero positive. In Italia stiamo assistendo a nuove tensioni sociali che derivano dalla gestione di una seconda pericolosa ondata del virus. Il G20 potrebbe essere l’occasione per rilanciare invece una leadership chiara e ben definita su temi che rappresentano più di altri la nostra vera vocazione. Se dall’Italia partisse un grande piano di riforma dei sistemi agroalimentari capace di determinare le scelte dei grandi Paesi, avremmo senz’altro colto la sfida e l’opportunità che questa presidenza ci dona. Ci vogliono infatti regolamentazioni globali capaci di ridisegnare i sistemi, senza trattare il cibo come una mera commodity, ma guardando anche alla complessità che questo ponte tra uomo e natura richiede. 

Riporto i 7 punti che EAT ha sottoscritto nella sua lettera aperta, perché ne condivido in pieno lo spirito: 

  1. Una più forte protezione degli ecosistemi naturali rimanenti dall’espansione agricola e da altre attività estrattive.  Abbiamo bisogno di un trattato globale per frenare l’ulteriore conversione delle foreste naturali, delle praterie e delle zone umide e proteggere gli ecosistemi marini e gli altri ecosistemi acquatici, insieme a meccanismi finanziari che lo rendano possibile. 

  2. Produzione rigenerativa di cibi sani e nutrienti e orientata alla natura e alla neutralità di emissioni di gas serra, attraverso un aggiustamento sistematico delle politiche e delle pratiche agricole, dell’uso del suolo e della pesca guidate da obiettivi scientifici e da una contabilità dei costi reale. L’ambiente chiuso e la produzione cellulare potrebbero svolgere un ruolo sempre più importante nella riduzione dell’impronta ambientale complessiva del cibo. 

  3. Adeguamento coordinato e trasformativo delle politiche, dei regolamenti e di altri strumenti del settore pubblico per rendere accessibile e disponibile per tutti un cibo sano e sostenibile: esiste un’intera gamma di strumenti che possono essere utilizzati come più adatti in diversi contesti; tra cui tasse, modifiche alla commercializzazione, regolamenti di zonizzazione, appalti pubblici, riforma sanitaria preventiva, istruzione, ricerca e innovazione. La commercializzazione di alimenti dannosi per la salute dei bambini e dei giovani non dovrebbe più essere tollerata.

  4. Dimezzare la perdita e lo spreco di cibo, utilizzando forti incentivi, regolamentazione e innovazione finanziaria lungo l’intera catena del valore del cibo, creando un’economia alimentare veramente circolare. 

  5. I responsabili della politica economica devono farsi avanti e assumere un ruolo di guida, al fine di effettuare i necessari cambiamenti politici sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda e ovunque nel mezzo. Allineare gli investimenti per la ripresa economica con la costruzione di sistemi alimentari più sani, sostenibili ed equi può ridurre significativamente la perdita netta derivante dal COVID-19, garantendo al tempo stesso una reale protezione da future pandemie. Abbiamo anche urgente bisogno dell’equivalente di un prezzo sul carbonio per le attività del sistema alimentare che degradano la salute umana e ambientale, con dividendi sociali incorporati per proteggere le famiglie vulnerabili.  

  6. I mercati finanziari devono spostare i flussi di investimento da pratiche insostenibili, malsane e socialmente ingiuste verso investimenti che guidano il cambiamento trasformativo, e le aziende alimentari devono integrare il rischio ambientale, sociale e sanitario nelle informazioni aziendali. La chiave per scatenare questo cambiamento è che c’è già una crescente consapevolezza in alcune parti della comunità finanziaria e imprenditoriale che la ricerca di profitti ristretta e miope non è più una strategia praticabile per costruire ricchezza. Iniziative come la World Benchmarking Alliance e i Principles for Responsible Investment sono state concepite per contribuire ad accelerare questo cambiamento sismico, non offrendo agli investitori alcuna scusa per guardare dall’altra parte. 

  7. Le persone devono avere accesso ovunque alle conoscenze e agli strumenti di cui hanno bisogno per chiedere un cambiamento ai responsabili politici e alle imprese e per consentire scelte alimentari più informate e soddisfacenti per la vita quotidiana. Abbiamo bisogno di linee guida nutrizionali che integrino salute e sostenibilità, di una migliore etichettatura degli alimenti e di app che rendano più facile per le persone sapere da dove provengono i prodotti alimentari, il loro impatto sulla sostenibilità e il valore nutrizionale. Le competenze culinarie, comportamentali e di marketing devono essere più ampiamente utilizzate.

Il 2021 è l’anno del cibo. Lo è per una serie di ragioni, tra cui la realizzazione del più grande Summit legato ai sistemi agroalimentari voluto direttamente da Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU

E’ tempo di scrivere un’agenda globale condivisa per la trasformazione dei sistemi alimentari. Un’agenda all’interno della quale si possano sviluppare strategie d’azione diverse, adatte a tutte le culture e a tutti i contesti socio-economici. Un’agenda unica e concertata che potrà migliorare la qualità del benessere pubblico.

Nel 2017 in occasione del G7 in Italia, assieme allo chef Jamie Oliver ed a Carlo Petrini, inviammo una lettera all’allora Presidente Gentiloni per sensibilizzare la leadership del Summit sull’urgenza di affrontare la crisi agroalimentare. Tre anni sono passati e la situazione oggi è ancora più drammatica. Ora ci sta per capitare una seconda grande occasione speriamo di non farcela scappare.

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Noi di Future Food Institute siamo determinati a fare la nostra parte, come ecosistema internazionale che da 7 anni lavora incessantemente per formare comunità globali resilienti, consapevoli e capaci di trasformare l’ispirazione in azione, ma anche per lavorare al fianco di organizzazioni pubbliche e private per generare impatti positivi, volti al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile attraverso la trasformazione dei sistemi agroalimentari. Stavolta possiamo rilanciare insieme l’Italia come Paese strategico che dia il via ad un’agenda globale unica di trasformazione dei sistemi agroalimentari. I tempi sono maturi e questa pandemia ci ha insegnato che nessuna priorità è più urgente di questa.