di Sara Roversi e Sharon Cittone
Tre giorni; 150 leader mondiali dell’innovazione agroalimentare, con profili multidisciplinari e affiliazioni nelle organizzazioni pubbliche e private più influenti a livello internazionale e provenienti da 100 Paesi diversi; 17 tavoli di lavoro per 17 temi chiave da risolvere per un futuro sostenibile.
Così Edible Planet, con il supporto di Future Food Institute per l’azione di community engagement, ha concluso il 19 Settembre, la prima edizione di un format non convenzionale di co-creazione e networking, finalizzato a risolvere l’equazione cibo, tecnologia, crisi climatica, attraverso l’elemento che la disturba maggiormente: l’umanità.
Abbiamo deciso di raccontare questo straordinario incontro insieme, per sugellare un concetto che in Italia sentiamo spesso ripetere e troppo poco spesso applicare: fare sistema. Eppure è l’unione, l’unione nella diversità, l’ingrediente chiave per incidere profondamente sui disastri ambientali e climatici che stiamo vivendo. Ed è sempre l’unione, che potrà aumentare i livelli di competitività dei sistemi produttivi nazionali, spesso frammentati, dando al Paese più biodiverso ed iconico, il potere contrattuale che merita, sui mercati internazionali. E allora due realtà diverse, come Edible Planet e Future Food Institute, due storie imprenditoriali molto diverse, due percorsi diversi, possono e devono avere una voce unica, quando si tratta di, appunto, fare sistema.
Del resto, i leader arrivati a Perugia, si sono incontrati nel futuro delle soluzioni da creare insieme, con lo spirito senza tempo di Platone nel suo Convito, cioè del Simposio (in greco antico: Συμπόσιον). Un’opera che, infatti, è diversa dalle altre, perché non è un dialogo, ma ha un diverso agone oratorio: i migliori intellettuali ateniesi portavano in dote per la prima volta, la propria teoria, la teoria più alta esistente e su quella si ragionava.
E’ esattamente come accaduto per questa prima edizione di Edible Planet Summit. Lo è anche il tema, in fondo. Eros, l’amore. Amore per un’umanità sul punto di un baratro profondissimo, per la natura materna e distruttrice, per la vita e l’equilibrio che dovrebbe caratterizzarne il rispetto e la sacralità, così continuamente violata dai nostri stessi comportamenti. Il Simposio, poi, era inserito nel contesto di un banchetto. A conferma che sia il cibo, il linguaggio della convivialità e soprattutto del dialogo autentico, anche quello non convenzionale che abbiamo scelto nel nostro, di Simposio.
E allora è giusto partire da qui, dal cibo. Alpha et omega, principium et finis, di questa nostra umanità. Vita, appunto.
I nostri ateniesi sono multinazionali, associazioni di piccoli contadini, reti di donne in agricoltura, FAO, agenzie dell’ONU, policy makers, giovani talenti, climate shapers, scienziati, imprenditori, startup, inventori, creativi, distributori, acceleratori, incubatori, trasformatori, addetti alla logistica, associazioni di consumatori, giornalisti, accademici, insegnanti, designer, ristoratori, chef, attivisti ambientali, fondi di investimento, filantropi, rappresentanti delle più grandi facilities nei settori delle risorse naturali, dall’energia, all’acqua, al suolo.
I nostri ateniesi sono umani uniti. Al di là delle etichette e dell’intervallo di tempo finito che rappresentano. I nostri ateniesi sono connessi con le radici profondissime che portano questa catena umana verso l’omega.
Sono un gruppo di pensatori influenti, sono stanchi di panel, di eventi digitali dove parlarsi addosso e continuare ad alimentare e consolidare i silos in cui sono relegati, stanchi di selfie da postare dalle convention dove ci si incontra per darsi ragione.
Hanno e abbiamo, già detto tutto. Abbiamo scritto e letto tutti i report che fotografano una realtà paradossale, iniqua, ingiusta e così profondamente disfunzionale da tutti i punti di vista – sociale, ambientale, climatico, culturale, economico, finanziario, istituzionale, della governance. Dunque, continuare a ripeterlo, per altro dentro bolle isolate di uno stesso iperconnesso mondo che abbiamo già ammalato e inquinato in ogni modo possibile, è un esercizio tanto inutile quanto frustrante e dannoso.
Continuare a ripetere il contenuto di queste informazioni già acquisite, come un mantra, girando tra format che odorano più di marketing più che di impatti, è tanto inutile, quanto frustrante e dannoso. Almeno per noi. Sicuramente anche per il 150 thought leaders portati in Italia per 3 giorni, a Perugia.
Neanche una pandemia è riuscita a smuovere profondamente le mentalità e i meccanismi che sottendono i sistemi che prima inquiniamo mangiando e poi mangiamo continuando così ad inquinare, come dice la nostra collega, Claudia Laricchia.
Il Simposio di Edible Planet è stato organizzato rompendo i silos.
Quelli dei sistemi agroalimentari, quelli dell’innovazione, quelli delle ricadute sul clima e anche quelli relazionali, creando i canali trasversali necessari a cogliere e applicare in concreto l’approccio olistico necessario, che abbiamo scritto e letto nei milioni di report da ripetere come un mantra gli eventi. Bisogna agire in fretta e smetterla di dirlo. Perché ormai anche le parole inquinano. Ci fanno perdere la risorsa più limitata che in questo momento abbiamo, come ci ricorda l’IPCC: il tempo.
E nel Simposio di Perugia gli umani uniti l’urgenza la sentono. La vedono, la leggono, la scrivono, la urlano, si affannano, ci provano in tutti i modi, in una corsa disperata per svuotare il mare con uno dei tappi di plastica che il mare ci sta restituendo.
Possiamo dire lo stesso degli altri?
Quello che gli “ateniensi” hanno chiesto più spesso, provenendo da 100 Paesi diversi, è stato: “perché hai scelto l’Italia? Perché hai scelto l’Umbria?”.
L’Italia è il Paese ideale per allestire il banchetto di un Simposio mondiale sui temi della nutrizione sostenibile, dell’ecologia integrale, dell’alimentazione sana per l’uomo e il Pianeta. Eppure anche nei tre giorni del Summit, il “fare sistema” dell’Italia e dell’Umbria, dal punto di vista istituzionale, logistico, organizzativo, è stato particolarmente sfidante.
E’ paradossale, se pensiamo al patrimonio di biodiversità, culturale, identitario, paesaggistico, intellettuale, produttivo che rendono l’Italia il posto ideale per attrarre investimenti e talenti. La sfida la vinceremo solo insieme, mettendo da parte gli interessi individuali e comprendendo la priorità di realizzare quelli collettivi, di un’umanità unita. Unita per natura e per la natura.
Il risultato di questo imponente lavoro è la Edible Planet Charter: non un manifesto di idee, ma un documento di azioni concrete per tutti gli attori della filiera per innescare cambiamenti sul lungo periodo, realizzato da una task force di esperti, che stanno già estraendo tutto il contenuto del Summit. Bisogna ambire alla luna per arrivare alle stelle. E non abbiamo intenzione di puntare a nulla di meno.