L’umanesimo del ventunesimo secolo viene spesso associato ad una radicale transizione, un umanesimo sempre più iperconnesso, un umanesimo rivolto al progresso, un umanesimo sempre più capace di contaminarsi con l’innovazione ed il digitale, un trans-umanesimo o post-umanesimo che però rischiano, se smodati, di affievolire e soffocare ciò che rende unico il senso di umanità.
Dalle parole che pronunciamo, troppe volte usate per dividere più che unire, per lamentarsi più che per apprezzare, per ingannare più che rivelare la verità.
Dalle vite che conduciamo, distratte e frenetiche, che sfilacciano pericolosamente le trame del tessuto sociale e umano.
Dalle scelte che compiamo, superficiali e troppe volte individuo-centriche, che ci distaccano da quei ritmi ancestrali e naturali che invece ci ricordano quanto tutto sia così incredibilmente interconnesso.
Per interrompere quel circolo vizioso di degrado collettivo, che si riverbera nella dimensione umana tanto quanto in quella economica e sociale, abbiamo bisogno di ritrovare la strada della presenza, il “qui e ora”, un percorso che ci porti a vivere e gustarci profondamente (prima ancora di condividere) i luoghi, le persone, le relazioni, il territorio, il cibo. Dobbiamo ri-educarci a cercare e vedere la bellezza che è presente in ogni angolo del mondo, ma sempre più nascosta ai nostri occhi. La bellezza dei gesti semplici, come una carezza o un abbraccio, la bellezza di un’alba o di un tramonto, la bellezza di parole premurose e gentili, ingredienti fondamentali per una rigenerazione integrale.
L’Italia interna, con il suo immenso patrimonio artistico, paesaggistico, enogastronomico e culturale, è una risorsa immensa se solo scegliessimo di esplorare e conoscere, invece che abbandonare, quei tanti piccoli borghi che animano lo Stivale con i loro riti, saperi e tradizioni; se decidessimo di riscoprire, non dimenticare, le nostre radici ed i valori essenziali dello stile di vita che ci appartiene, quello mediterraneo, che è oggi Patrimonio dell’Umanità; se risvegliassimo l’ammirazione per l’arte intesa in senso lato, come cura e capacità di nobilitare la bellezza che ci circonda.
Tra queste rientra sicuramente anche la poesia, una forma d’arte che nel suo significato più antico – poiein, fare – è capace di parlare direttamente al cuore della gente, di smuovere (internamente) e muovere (esternamente), fino ad essere concepita come uno strumento potente di ri-unione tra individui, comunità e territori. E proprio nei territori come il Cilento, partendo da laboratori di rigenerazione ecologica integrale come il Paideia Campus a Pollica, si può vivere misurando quotidianamente, ed in ogni relazione, il potere generativo della bellezza.
Una sperimentazione costante che anche quest’anno ha visto coinvolto, il poeta e paesologo, Franco Arminio in una performance speciale al Parco Archeologico di Velia. In un luogo che ha radici millenarie, capace di sprigionare un’energia potente, sotto lo stesso cielo stellato che in passato ha ispirato le origini del pensiero filosofico occidentale, la sua voce ha saputo creare una magica alchimia. La comunità si è fatta trasportare dalla contemporaneità della musica e delle parole di Livio e Michele, e poi si è fatta conquistare dalla sua poesia, una vera e propria esplorazione tra disagio, amore, gratitudine, valori essenziali e sacralità. Una poesia quasi sussurrata al chiaro di luna, in grado di catturare l’attenzione e la cura per il “vivere mediterraneo” in ogni suo aspetto: colori, sapori e momenti, anche quelli serali e notturni e capaci di mostrarci il lato inconsueto dei luoghi, valorizzandone così il potenziale rendendoli unici.
Se la serata al Parco Archeologico di Velia, promossa da Regione Campania e Scabec nel palinsesto di eventi Campania by Night, aveva la finalità di far riscoprire al vasto pubblico i Patrimoni Unesco del territorio e le bellezze dormienti mediterranee anche nelle fasce serali; il Comune (e la comunità di Pollica) con il Future Food Institute e Legambiente, hanno invece ospitato due momenti intimi, di riflessione, acustici, seduti nella sabbia, accompagnati dal ritmo delle onde del mare che si infrangono sulla battigia, a notte fonda e alle prime luci dell’alba; due momenti semplici ed essenziali, perchè come dice Franco Arminio “nella mia farmacia poetica ci si cura con parole e sguardi”.
“Il mondo è tenero e pulito
alle cinque del mattino,
piccoli santi muti stanno
sulle cime degli alberi,
il sole che spunta rivela
che ogni volto
è commovente,
nella voce di chi parla torna
il piumaggio di uccelli
che non ci sono più.
Il mare è lievemente steso
sulla schiena, la terra
è un’arancia su una tovaglia bianca.
Bisogna ritirarsi immediatamente
dall’attualità, il mondo dopo le otto del mattino uccide le minuscole farfalle che danno luce al sangue,
appende alle costole
la noia imperiale dei commerci,
il fatuo affanno delle furbizie
e dei guadagni.”
— Franco Arminio
E’ proprio questo di cui abbiamo più bisogno oggi, per il mondo e per il nostro Paese: partire da una rigenerazione della vita quotidiana, coltivare quelle piccole virtù citate nel “Breviario di civiltà” di Carlo Ossola, come la pacatezza, la premura, la gentilezza o l’urbanità, e quella bellezza dell’alba che ti travolge, la purezza dell’aria che si respira, ritornare ai valori essenziali che abbiamo ereditato dallo stile mediterraneo per risanare le comunità, l’ambiente ed i territori, costruire paesi dove il benessere collettivo parte da processi di creazione di consapevolezza e palestre di fiducia.
Abbiamo bisogno di essere insieme a tutti quei contadini, pescatori, nonne e nonni, giovani, poeti, artisti, imprenditori che investono sulla qualità invece che sulla quantità, sulla cura che guida lo sviluppo, e sulla “restanza”.
Vivere Mediterraneo, per noi, è anche questo: costruire le fondamenta e dare corpo ad una visione che mira al 2050 partendo da Pollica; un borgo, una comunità, una amministrazione lungimirante, un territorio che diventano una palestra dove allenarci ad un nuovo tipo di socialità, un laboratorio di rigenerazione ecologica integrale che richiede necessariamente uno sforzo partecipato nell’ambito politico, ambientale, umano, sociale, culturale e economico ed in cui le azioni concrete siano misurabili attraverso gli impatti positivi generati sugli ecosistemi, sulle comunità e sull’economia locale.
Il Cilento è un luogo unico in cui non solo questo modus vivendi è stato riconosciuto e vissuto, diventando Patrimonio dell’Umanità, ma in cui l’antico e la tradizione collidono costantemente con l’apertura al nuovo. E’ necessario far riemergere l’immenso potenziale di questo nuovo umanesimo mediterraneo, perchè il secolo attuale possa essere davvero un momento cruciale per la rigenerazione del “Mere Nostrum”, dell’Italia e del Cilento.