Tutto nel mondo naturale è inscindibilmente connesso. Lo abbiamo capito oramai, pagando sulla nostra pelle il prezzo di azioni irresponsabili, modelli irrispettosi e di ritmi di produzione e consumo innaturali. Tant’è che oggi, in occasione della Giornata mondiale delle foreste, il tema prescelto per quest’anno non può non intrecciarsi con le attuali modalità di produzione e consumo. “Foreste e produzione e consumo sostenibili”: un tema per stressare che “un’area forestale grande come Canada e Stati Uniti messi insieme è stata trasformata in campi, fibre, edifici, infrastrutture per l’edilizia e infrastrutture per il trasporto, l’edilizia e l’industria” come riporta l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).
Tutto è inscindibilmente connesso, ma fino a che punto?
La fisica in questo ce lo hanno spiegato molto chiaramente, sperimentando direttamente il fenomeno dell’entanglement quantistico. Un elettrone, diviso a metà, e posizionato in due luoghi diversi (una parte a Roma e l’altra a Ginevra) continua ad essere connesso nonostante la netta distanza geografica. Così se ad un’azione su una parte di elettrone, corrisponde un’imitazione immediata dell’altro, “il fratello”, la scienza ha dimostrato quanto in realtà sia possibile stabilire delle connessioni tra oggetti indipendentemente dal loro contatto diretto o vicinanza.
D’altronde, il Premio Nobel per la Fisica Brian Josephson, scriveva: “L’universo non è una collezione di oggetti (distinti e separati che si muovono nello spazio), ma una inseparabile rete di modelli di energia vibrante nei quali nessun componente ha realtà indipendente dal tutto.”
Da questa prospettiva, in cui tutto è sorretto da legami profondi ma invisibili, è possibile comprendere quanto siamo collegati alla Natura rispetto a quello che si possa credere comunemente e quanto il nostro senso di appartenenza all’ecosistema naturale sia radicato.
IL RISULTATO DI UN MONDO TAGLIA-E-CUCI
Se la Natura è inscindibilmente connessa con l’uomo, va da sè che alla salute e al benessere della prima corrisponda un benessere del secondo. Uguale dicasi per il contrario.
Ed infatti, quasi come una dura legge del contrappasso dantesco, la situazione attuale parla da sè.
Moltissimi sono i rapporti che fotografano un preoccupante stato di salute dell’intero ecosistema naturale, con oltre 30.000 specie di fauna e flora selvatiche in pericolo e oltre un milione di specie a rischio di estinzione; con un avanzamento del degrado ambientale, come quello dei suoli, già responsabile di aver rilasciato fino a 78 gigatonnellate di carbonio nell’atmosfera; con preoccupanti livelli di contaminazione cha ha raggiunto ogni angolo del pianeta, anche i più remoti.
Un intreccio forte e reale che restituisce all’uomo il danno e la sofferenza provocata. Il recentissimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico chiaramente sottolinea la chiara inter-relazione tra gli impatti del cambiamento climatico sugli ecosistemi naturali e sui sistemi umani, tra cui qualità idrica, produzione agricola, sicurezza alimentare, malnutrizione, salute mentale, oltre ai già risaputi rischi alle città e infrastrutture.
La stessa guerra in Ucraina, risultato egemonico di profondi squilibri geopolitici, lascia profonde cicatrici umane e ambientali al suo passaggio. Al pericoloso avanzare di persone disperate, sfollate dalle loro case e città, si aggiungono infatti rischi di rapidi degradi ambientali. Aspetti che spesso ci dimentichiamo, ma che sono stati istituiti formalmente dalle stesse Nazioni Unite con la giornata internazionale per prevenire lo sfruttamento dell’ambiente in guerra e nei conflitti armati, che dal 2001 si festeggia ogni 6 Novembre. Perchè se è vero che la maggior parte conflitti armati si sono e stanno verificando nei maggiori hotspot di biodiversità, dall’altro lato una efficace e rispettosa gestione risorse naturali è un incredibile veicolo di pace.
Viviamo le nostre vite impoverendo la casa in cui noi stessi abitiamo, produciamo e consumiamo incuranti del fatto a che a quelle scelte corrispondano massicce deforestazioni, confondendo la comodità con la felicità, l’eccesso con il progresso, la sicurezza con la sopravvivenza.
Accade così che dal 2010 siamo a tutti gli effetti diventati una specie urbana, che ha perso il contatto diretto con le aree verdi, per rinchiudersi in spazi chiusi, nelle nostre case, in ufficio, in macchina, perdendo totalmente ogni contatto con la realtà vera. E non deve stupire che, in questo contesto, appesantito dal continuo e costante bombardamento di stimoli esterni ed informazioni, la nostra salute mentale sia la prima ad accusare segni di cedimento.
Oggi, circa 280 milioni di persone nel mondo soffrono di depressione, rivela l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con il deterioramento della salute mentale tra le minacce più preoccupanti per il mondo nei prossimi due anni.
Eppure basterebbe ritornare a vivere gli spazi naturali per poter sperimentare i diretti benefici fisici e mentali che questi apportano sulla salute umana. Basterebbe tornare a produrre e consumare rispettando i ritmi naturali, per assicurare diversità, nutrimento mitigando gli effetti del cambiamento climatico, come dimostrano gli studi sulle pratiche agro-ecologiche. Basterebbe smettere di separare, isolare, semplificare, settorializzare relazioni che sono per loro natura inscindibilmente collegate, come quella tra uomo e natura selvaggia.
RITORNARE AD UNA RIGENERAZIONE ECOLOGICA INTEGRALE
“Quando proteggiamo e conserviamo il pianeta in cui vivono le specie selvatiche, salvaguardiamo non solo il loro futuro, ma anche il nostro” sono le parole del Direttore Esecutivo del programma ambientale delle Nazioni Unite, Inger Andersen, per ricordare il valore della natura selvatica proprio in occasione della Giornata Mondiale a loro dedicata.
Ed in effetti segni di un cambio di rotta iniziano ad essere visibili sotto diversi punti di vista.
Economie che ripartono dal ripristino dell’ecosistema naturale, politiche regionali e internazionali che rimettano al centro la tutela naturale, biologica e paesaggistica, città che ampliano gli spazi verdi, famiglie che scelgono sempre più di abbandonare i ritmi frenetici e caotici delle grandi città, educazione che si sta facendo via via sempre più esperienziale e pro-attiva sono trend che nascondono il bisogno reale e concreto dell’uomo di ritornare a vivere in modo più armonico la natura. Nel mondo così come nella nostra Italia, il processo di rigenerazione integrale deve e sta iniziando a partire nuovamente dalla cura della Terra e della sua diversità, con oltre 55 mila aziende agricole condotte da giovani italiani nel solo 2020, per poter innescare, a cascata, una rigenerazione umana, di una maggiore armonia del quotidiano e maggiore benessere psico-fisico, una rigenerazione culturale, che sappia valorizzare e rendere viventi le ricchezze naturali, paesaggistiche e culturali, una rigenerazione economica, che sappia supportare, anche attraverso forme di turismo lento e rispettoso, il paesaggio e lo sviluppo del territorio, un’azione politica mirata, anche attraverso piani urbanistici capaci di ripristinare edifici esistenti armonizzandoli con il paesaggio.
Una rigenerazione anche capace di rendere aree interne e più marginali, i borghi e le zone oggi dimenticate, vere e proprie destinazioni d’apprendimento e di accesso privilegiato alla natura selvaggia, come ricorda il numero e la collocazione dei siti italiani UNESCO, metà dei quali è collocato proprio nei comuni sotto i 5.000 abitanti.
E’ proprio partendo dall’esigenza di far incontrare necessità e potenzialità che il nostro Paideia Campus è nato grazie all’incontro con il Comune di Pollica, come laboratorio vivente a cielo aperto. Comunità Emblematica UNESCO della Dieta Mediterranea, vero e proprio hotspot di biodiversità per varietà e quantità di popolazioni endemiche, tale da renderlo 10 volte più ricco di biodiversità rispetto alla media mondiale.
Una ricchezza naturale di cui è intriso il paesaggio, che forgia la cultura e stile di vita mediterraneo, che regola la nutrizione e qualità degli alimenti, che è cruciale per assicurare salute e longevità. Il benessere è un elemento di fondamentale importanza nella progettazione di città sane, inclusive e sostenibili, ma anche una nuova leva per promuovere il territorio con nuove forme di turismo che puntano su biofilia e valorizzazione della natura selvaggia.
Per questo, il Mediterranean Mind Lab a Pollica, di Strobilo in collaborazione con il Future Food Institute, nasce come attività di ricerca per studiare, attraverso l’uso delle neuroscienze, il nostro legame con la natura partendo dal monitoraggio dello stato di salute ambientale e umano.
L’ambizione è quella di arrivare a creare un vero e proprio algoritmo di longevità e benessere umano, che richiede però di ritornare a toccare la natura, avvicinarci ad essa, viverla, annusarla, respirarla, esplorarla. Perchè solo se vissuto, un aspetto può essere realmente compreso, apprezzato e amato; valori essenziali per assicurare che l’ecosistema naturale possa essere valorizzato e preservato.
E magari così potremmo anche renderci conto di quanto a volte sia bello fermarsi, prendere una boccata d’aria nella natura, riflettere e sentirsi parte di questo grande e meraviglioso intreccio che lega indissolubilmente l’uomo all’ambiente che lo circonda.
Questa è l’armonia della vita che già in epoca classica era chiara a medici e filosofi.
Non a caso, Zenone di Cinzio, più di duemila anni fa, proprio in Cilento ad Elea-Velia, scriveva: “Lo scopo della vita è di vivere in accordo con la natura.“