Vi siete mai chiesti nelle mani di chi è il futuro di tutti noi? Spesso, come oggi, al termine di un grande summit internazionale come COP26, mi sento dire che il nostro futuro “è nelle mani di pochi” .
Dei pochi policy makers che si sono riuniti a Roma, al G20, nell’incontro tra i 20 Paesi che rappresentano l’80% del PIL. Di coloro, cioè, che in questo 2021 di ripartenza, sono stati presieduti per la prima volta dall’Italia.
Dei pochi multimiliardari che decidono la direzione dei propri investimenti. E lo fanno ancora valutando spesso solo indicatori economici finanziari, che invece sono molto parziali rispetto alla conformità dei progetti agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, o rispetto agli impatti sociali ed ambientali che riescono a creare. Mi riferisco, ad esempio, ad Elon Musk, che ha risposto a David Beasley, direttore del WFP, che alla CNN ha di nuovo fatto appello alle mani dei pochi in cui pare risieda il futuro dei tanti. Beasley aveva detto che un piccolo gruppo di individui ultra-ricchi potrebbe aiutare a risolvere la fame nel mondo con appena una frazione del proprio patrimonio netto. E così, l’uomo dal patrimonio stimato in 300 miliardi di dollari, ha risposto con un tweet per confermare la sua disponibilità a vedere azioni Tesla e donarne i proventi, a patto che le Nazioni Unite dimostrino attraverso operazioni trasparenti, in modo che tutti possano verificare, che solo una piccola percentuale della sua ricchezza possa risolvere la crisi della fame nel mondo.
Il futuro di tanti è davvero nelle mani dei pochi che in questi giorni sono riuniti a Glasgow per le negoziazioni sul clima? Sono loro le persone chiave che possono decidere se e come mantenere l’aumento della temperatura terrestre al di sotto del grado e mezzo? Sono quelle mani che si sono strette in Scozia, a muovere gli oceani acidificati, a proteggere la biodiversità, a permettere al suolo di catturare la CO2, a mitigare i fenomeni climatici estremi, a proteggere le acque, a lavorare sull’accesso al cibo, ad azzerare gli sprechi, le iniquità, a smantellare gli attuali modelli per dotare l’umanità di modelli rigenerativi?
Io non lo so se il futuro di tanti è nelle mani di pochi.
Quello che so che ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni, ed ora più che mai è il momento di agire, tutti, in modo coeso. Ognuno di noi, può guardare le proprie mani e cominciare ad agire in modo concreto.
Personalmente, da imprenditore, da Presidente di un ecosistema dell’innovazione dei sistemi agroalimentari, sono stanca di ascoltare parole alle quali non si riesce a dare forma con le mani e tanti sono coloro che il cambiamento lo stanno davvero vivendo e alimentando, lontano dai riflettori dei media, sul campo. Per esempio, la iper saturazione degli eventi digitali durante la pandemia è un fenomeno al quale non ci possiamo più permettere di assistere, in questi pochi anni che ci separano una serie di scenari catastrofici, che stiamo noi stessi alimentando (basta leggere l’ultimo report dell’IPCC).
Le parole quindi sono più insostenibili delle fonti fossili.
Le mani, quelle sì, sono strumenti di azione che ciascuno di noi dovrebbe finalmente mettere in campo, cambiando mentalità, modelli, comportamenti e diventando un effetto moltiplicatore vivente, nella propria famiglia, nella propria comunità, nella propria scuola e nelle proprie organizzazioni.
Alla fine delle mie mani, ad esempio, c’è il Paideia Campus a Pollica dove negli mesi abbiamo ci siamo formati assieme a centinaia di giovani e dove stanno prendendo vita, giorno dopo giorno, progetti concreti di rigenerazione in ambito agricolo e sociale; e c’è la Food Coalition.
Future Food Institute, l’organizzazione che presiedo, ha presentato un progetto alla FAO, insieme ad UNIDO Itpo Italy, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale dei Paesi in Via di Sviluppo. Un progetto focalizzato sulla trasformazione dei sistemi agroalimentari a partire dalla rigenerazione dei modelli del Mediterraneo. Italia, assieme agli ecosistemi dell’innovazione di Spagna e Grecia tenderanno la mano a Marocco, Tunisia e Iraq, costruendo ponti di scambio e dialogo che coinvolgano tutti gli attori della filiera e soprattutto i piccoli agricoltori, che potranno formarsi, scoprire soluzioni innovative, rigenerative e applicarle in concreto.
La Food Coalition, come ha ricordato il Vice Segretario Generale della FAO, Maurizio Martina, è entrata nella dichiarazione finale proprio di quel G20 che avremmo potuto pensare essere riservato alle mani di pochi. E invece in parte ci sono anche le mie, che sono un imprenditrice innamorata dell’Italia, delle sue ricchezze nascoste, del potere delle relazioni se ci si unisce per creare impatti concreti, dell’umanità consapevole che sa, conosce e riconosce il proprio ruolo non solo nel distruggere gli ecosistemi di cui fa parte, ma anche e soprattutto per ripristinarne gli equilibri, per passare da problema a soluzione, per garantirsi non una sopravvivenza asfittica, ma una vita prospera e ricca di benessere, anche per le future generazioni. E tutto questo dipende non dalla nostra eloquenza, nè solo dalle mani di pochi. Tutto questo dipende anche da te.