Le donne, queste sconosciute.
L’Italia è il penultimo Paese in Europa per la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Nel 2017, il 73% delle dimissioni volontarie è stato composto da donne e in particolare da madri. Le dirigenti d’azienda donne sono meno del 30% e comunque, a parità di ruolo, guadagnano meno dei colleghi uomini.
Questo senza parlare di violenza sulle donne, che colpisce più del 30% delle donne tra i 16 e 70 anni.
In questo scenario, esiste un settore dove le donne possono e devono esercitare una leadership naturale, fisiologica e indispensabile.
È il settore agroalimentare.
Il cibo, infatti, alimenta anche i rapporti di comunità ed il motore di tali relazioni, storicamente, antropologicamente, culturalmente è la donna.
Nel convivio si costruiscono legami sociali, si rafforza il senso identitario, religioso e culturale, si assicura inclusione e coesione, perché cibo è prima di tutto un linguaggio universale. Pratiche spontanee e comuni, che si manifestano nella quotidianità della vita di comunità, che inconsapevolmente spesso impattano sul il valore paesaggistico, turistico, enogastronomico, economico del territorio e che non sarebbero possibili senza assicurare e rispettare il delicato rapporto col Pianeta. Prodotto della Terra, il cibo, è il risultato di delicati rapporti ecosistemici, dei cicli naturali, ma anche dell’attesa, della fatica, della cura e del lavoro di chi produce quotidianamente ciò che arriva sulle nostre tavole.
La donna è generatrice di vita come la Terra lo è del cibo, che è vita. La donna custodisce il creato, è la radice ultima della cura e del senso del prendersi cura dei frutti che la natura materna offre. Ne è custode, sentinella, è madre anche quando non lo è.
All’origine del cibo ci sono donne che impiegano la maggior parte del loro tempo nella produzione e raccolta nei campi, che sono il 43% della manodopera in agricoltura, pur non avendo pari accesso alle risorse, al suolo, al tecnologie. Pertanto il settore dove possono esercitare la propria leadership non è immune da un sistema discriminatorio che caratterizza un ruolo della donna ancora anacronistico che non possiamo più assecondare.
I dati FAO al riguardo sono agghiaccianti.
Il sistema agro-alimentare è ancora fortemente iniquo, esclusivo e patriarcale. In troppi Stati al mondo, le contadine sono escluse da un accesso paritario alle risorse agricole, alle varietà di sementi migliorate, alle attrezzature, alle informazioni, all’istruzione, al credito e all’assicurazione rispetto agli uomini; pescatrici che lavorano in modo informale, senza essere assunte contrattualmente, senza tutele, assegnate alle posizioni più instabili e mal pagate; donne che nella nella gestione del bestiame non hanno accesso alle tecnologie e attrezzature che possono ridurre l’intensità del loro lavoro, massimizzare le rese e ridurre i rischi per la salute.
Eppure, sono le donne nella maggioranza dei paesi del mondo a farsi carico delle scelte alimentari della famiglia, custodi di conoscenze tramandate e della cultura alimentare. E’ dalla donna che passa la nutrizione del bambino, soprattutto nei suoi primi giorni e anni di vita, quelli maggiormente cruciali. Sono sempre donne, quelle alle quali vengono riconosciute meriti per attività ad alto valore aggiunto, che si mostrano maggiormente propense all’innovazione sociale e ambientale, alla cura dei dettagli. Se il cibo è in primis un atto d’amore, allora non possiamo continuare a permettere, nel XXI secolo, tali livelli di disparità di genere, soprattutto nel settore che è primario per la sopravvivenza e la vita, ed in cui paradossalmente l’ingiustizia di genere raggiunge il suo massimo picco.
E’ più che mai urgente un advocacy globale affinché il sistema agro-alimentare poggi su solide basi di giustizia, inclusione e uguaglianza, creando ponti di dialogo tra rappresentanti politici, diplomatici, imprenditori, imprenditrici, società civile, start-upper, giovani. La prima conferenza del G20 sull’empowerment delle donne, in linea con gli obiettivi condivisi dal Pre-Food System Summit di Roma, ed arricchita dalla presenza della Delegazione Women 20 e dal side event organizzato dagli Stati Generali delle Donne, l’Alleanza delle Donne presso il Campus Universitario di Savona dell’Università di Genova non può che essere accolto come un primo, importante passo verso le pari opportunità, la rigenerazione economica e l’imprenditoria femminile. Un contributo che ha visto impegnato in prima linea anche il Future Food Institute, con la diffusione di eventi collaterali alle varie ministeriali del G20 (Food for Earth – G20 Edition) e uno specifico Dialogue del Food System Summit dedicato al ruolo delle donne nell’agricoltura, concentrandoci in particolare sul ruolo della tecnologia come strumento per garantire sicurezza e giustizia alimentare, organizzato in collaborazione con MoooFarm.
Attività che però, per essere reali e tangibili, abbisognano una parallela implementazione nell’attualità dei contesti locali e specifici.
“Think global but act local” è quello che ci ha portato a Pollica (SA), Comunità Emblematica UNESCO della Dieta Mediterranea e territorio emblematico di uno stile di vita mediterraneo che concorre ad aumentare i livelli di salubrità per gli esseri umani e per il Pianeta.
Pollica sta diventando, anche grazie al progetto “Paideia Campus”, un centro sperimentare per la rigenerazione ecologica integrale, di cui applica concretamente i principi nel ritmo della vita della comunità che segue quello della natura, diventando un modello di benessere e stile e di vita da studiare e replicare.
Partire dalla culla della Dieta Mediterranea è una scelta strategica e ineluttabile. E’ questo infatti il posto dove la Dieta intesa come “stile di vita”, attraverso il cibo combina la salute dell’uomo e salvaguardia dell’ambiente, la tutela del piacere gastronomico e la difesa della biodiversità. Ed è di nuovo la donna al centro di questo modello virtuoso.
Il cibo, infatti, può rigenerare l’individuo, i rapporti sociali ed il paesaggio, perchè è il cibo è cura.
La cura affonda le sue origini nel passato, con l’origine della Scuola Eleatica animata dal Filosofo-Medico Parmenide poi con la nascita della Scuola Medica Salernitana nel IX secolo che richiama con sé il fondamentale contributo di Trotula De Ruggiero, la prima donna medico della storia, quando si ponevano le basi della prima scuola di Medicina occidentale moderna. Una donna capace, già all’epoca, di vedere quanto salute del corpo, cura dell’ambiente e all’alimentazione fossero inscindibilmente connesse. Lascito prontamente raccolto e valorizzato nel tempo da altre donne, come Margaret Haney, moglie di Ancel Keys, scienziata americana che, insieme al marito, codificò in un nome, lo stile di vita salutare e longevo ed i regimi alimentari dei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo: la Dieta Mediterranea appunto. Ma anche di tutte quelle donne, mamme, nonne che continuano a vivere e tramandare i valori, umani, sociali, ambientali che sottendono alla Dieta Mediterranea, nelle loro ricette, nelle loro cucine, nelle loro case.
Per creare sistemi agro-alimentari realmente resilienti, equi ed inclusivi, abbiamo bisogno di ritornare ai valori essenziali di vita, quelli universali che si fondono sulla cooperazione e aiuto reciproco, sull’ascolto e sull’empatia. Abbiamo bisogno di riabituarci ad educare alla bellezza, strumento potentissimo contro la paura, che nell’era del Covid 19 è tornato ad essere un antidoto indispensabile. Abbiamo bisogno di promuovere nuove nozioni di prosperità, intese come benessere diffuso ed universale, volto alla rigenerazione collettiva, da analizzare oltre le lenti economiche e finanziarie. Questo significa anche avere cura delle risorse naturali, intese come beni comuni da valorizzare e proteggere, avere cura dell’individuo, rimettendo al centro il suo benessere. Significa saper abbracciare una visione integrale dell’ecologia, che attraversi la dimensione economica, sociale, ambientale, culturale e umana.
Bisogna quindi aumentare la consapevolezza sul ruolo cruciale della donna nel settore agroalimentare, partendo dalle parole di Papa Francesco, “la donna è colei che fa bello il mondo e lo custodisce” e proseguendo con determinazione il percorso del riconoscimento e della tutela dei diritti delle donne, conferendo loro il potere all’altezza della propria natura e del proprio ruolo.
— di Sara Roversi e Claudia Laricchia
Future Food Institute