Il Coronavirus ci ha messo di fronte, improvvisamente ad un nuovo mondo. Parte di questo mondo coincide con uno scenario futuristico paradossalmente positivo. Uno scenario che era stato solo immaginato e che oggi è realtà.
Il ritmo serrato del contagio scandisce il ritmo serrato della reazione al cambiamento a cui l’umanità è chiamata. E all’improvviso alcuni ideali a cui nella teoria si doveva tendere in un medio e lungo arco temporale, diventano una realtà del presente.
L’educazione digitale, ad esempio, di cui si parla da anni e che all’improvviso non è un’opzione, ma una necessità e lo è per circa 26mila istituti, 200mila classi ossia il 40% dell’intera popolazione scolastica del Paese pari a 4 milioni di alunni. Naturalmente non tutti si sono fatti trovare pronti e chi arranca per mettere in piedi un sistema di “classi virtuali” come cita il decreto ministeriale di questi ultimi giorni, lascia indietro il futuro e certifica di non saper cogliere alcuna opportunità, nella difficoltà.
Lo smart working è un altro esempio di una soluzione di cui si parla da anni, che all’improvviso non è un’opzione, ma una necessità. E’ da 3 anni, che questo istituto è regolamentato in Italia, ma quanti lo applicavano? Ci riferiamo alla legge nr.81 del 22 maggio 2017 relativa alle “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”: flessibilità organizzativa, volontarietà delle parti e utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto. Oggi siamo costretti a fare qualcosa che prima era una possibilità.
L’immediata rimodulazione coatta delle proprie abitudini, compone quadri sociali nuovi: dai nuclei familiari che si ritrovano a condividere anche spazi di lavoro; alle aziende che si svuotano; al divieto di circolazione di persone.
L’epidemia e l’infodemia (la circolazione eccessiva di notizie non vagliate con accuratezza) sono ovunque e creano delle enormi conseguenze a livello non solo sociale, ma anche ambientale, economico, culturale e istituzionale.
Milano non ha mai avuto l’aria tanto pulita. La stampa parla di “aria di montagna”, raccontando i dati raccolti dalle centraline dell’Arpa che hanno registrato concentrazioni di polveri sottili molto al di sotto dei limiti, fissati a 50 microgrammi per metro cubo, la media di Pm10 calcolata a Milano è stata di 13.8 µg/m³. Per non parlare dei rilevamenti diffusi dalla NASA che mostrano il significativo declino dei livelli di inquinamento in Cina dovuto al blocco della produzione e conseguente rallentamento economico.
E se questo fosse il calvario che dobbiamo passare per obbligarci a saltare in un nuovo mondo?
Se questa calamità avesse drammaticamente accelerato la nostra capacità di dover reagire a dei cambiamenti inevitabili?
Se questa epidemia spazzasse via anche i “l’abbiamo sempre fatto così” che si contrappongono oggi all’adattamento a nuovi equilibri?
Se dentro questo male, ci fosse un darwiniano effetto indiretto capace di dividere chi sa cambiare e chi invece è più vulnerabile e non va lasciato indietro?
Ancora una volta, a monte delle reazioni al cambiamento c’è il mindset, cioè la mentalità che dobbiamo continuare a nutrire con una formazione continua, a qualunque età. La gestione del cambiamento parte dalla mentalità, dalle convinzioni su noi stessi che dobbiamo essere in grado di abbattere, insieme ai limiti che sanno disegnare e determinare. Con un mindset da prosperity thinker, da pensatore vocato alla prosperità, possiamo affrontare questa crisi in modo positivo e propositivo. Del resto la crisi è un termine agricolo che deriva dal verbo greco κρίνω: “separare”. Il verbo era utilizzato in riferimento alla trebbiatura, cioè all’attività conclusiva nella raccolta del grano, consistente nella separazione della granella del frumento dalla paglia e dalla pula che è il nome dell’involucro che riveste il chicco di grano. Da qui derivò tanto il primo significato di “separare”, quanto quello traslato di “scegliere”. In origine, dunque, il termine era di derivazione agricola.
Interessante è l’etimologia della parola crisi nella lingua cinese, poiché è composta da due ideogrammi: il primo “wei” che significa “problema”, mentre il secondo “ji” che significa “opportunità.”
In the middle of every difficulty lies opportunity. – Albert Einstein
Vi lasciamo quindi con questa riflessione, al centro di danni economici miliardari, del tonfo della borsa, dei disastri che questo virus sta creando, ci sono sempre anche dei semi di futuro da separare e coltivare con ottimismo per affrontare questo presente che è diverso da come l’avevamo immaginato e costruire il futuro con il giusto mindset. E non c’è più tempo per ulteriori interrogativi, ma solo per prendere coscienza che siamo entrati nella decade of action.
Sara Roversi e Claudia Laricchia
– Future Food Institute