Come ogni anno, in sinergia con l’agenda G20, forum internazionale che vede la partecipazione della maggior parte dei Governi delle nazioni più industrializzate del pianeta (Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Corea del Sud, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti ed Unione Europea che rappresenta gli interessi di tutti i Paesi aderenti tra cui Paesi Bassi e Spagna); prende vita anche il B20 che chiama a raccolta una rappresentanza del ecosistema economico mondiale per lavorare sui temi più urgenti e rilevanti che il mondo dell’impresa si trova ad affrontare. Un percorso, partecipato da imprenditori, consulenti strategici, esperiti, istituzioni, think tank ed Organizzazioni mondiali per la cooperazione e lo sviluppo economico; che mira ad identificare le priorità, e consegnare raccomandazioni e suggerimenti di implementazione ai governi.
Quest’anno, è il turno della presidenza Saudita. Tema predominante: “la trasformazione per una crescita inclusiva”. Tre elementi identificati come i veri fautori della grande rivoluzione in atto (gender equality, tecnologie e clima) e un grande senso di rivalsa, quasi a voler recuperare il tempo perduto, col desiderio palese di essere ricordati nella storia come l’edizione con la più alta partecipazione femminile di sempre.
Un Action Council specifico sul tema Women in Business, tema particolarmente sentito a livello locale ma identificato anche uno dei driver della grande “disruption” culturale diffusa ; due temi trasversali che sono Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e piccole e medie imprese nell’imprenditorialità; in fine sei task force, ovvero gruppi di lavoro che sono impegnati a evidenziare le aree critiche di azione e suggerire delle “recommendation” ai Ministri competenti sui temi della digitalizzazione, finanza e infrastrutture, il futuro del lavoro e della formazione, integrità e compliance, commercio e investimenti ed in ultimo la mia: ENERGIA, SOSTENIBILITA’ e CLIMA.
Gli imprenditori impegnati nel B20 si sono posti alcune domande sulla decade che ci aspetta per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), in una logica che va oltre la CSR (corporate social responsibility) e i parametri di investimenti ESG (ovvero una gestione finanziaria responsabile che tiene conto degli aspetti ambientali, sociali e di governance) e che si scontra con l’obbligata intersezione tra redditività e sostenibilità a cui nessuno può più sottrarsi.
In questa economia della felicità apparente, come possiamo riportare i consumatori, gli utenti, i membri delle nostre community di riferimento, nella Comfort Zone?
Viviamo in uno stato di cronica incertezza che ci sta sfibrando come individui e come comunità. Incertezza dovuta sia ad un ritmo troppo sostenuto dell’avanzare di tecnologie a cui adattarsi, sia alla crisi climatica che permea ogni nostra conversazione e soprattutto agita le nostre vite, essendo passata da minaccia a realtà.
In questo scenario, le imprese stanno passando dall’essere un mero motore dell’economia e del progresso ad essere colonna portante di questo processo di cambiamento culturale, intercettando il disagio che le persone sentono ogni giorno di più verso la crisi climatica (disagio che influenza le decisioni di acquisto di beni e quelle di fruizione di servizi). Il mondo economico diventa l’aggregatore di quei soggetti che oggi – se vogliono – possono davvero fare la differenza e aiutare il mondo a mitigare gli effetti di questa crisi. Se questo non accadrà, per scarso senso di responsabilità o per mancanza di politiche che lo permettano, dovremo prepararci tutti ad affrontarne le conseguenze.
Così le aziende diventano green e sono in transito verso la costruzione di nuovi paradigmi non solo economici, ma anche ambientali. Le aziende devono fare questo percorso anche perché scelte alternative non appaiono più remunerative nel medio lungo periodo e perché i parametri con cui si misurano le performance aziendali saranno sempre più orientate alla sostenibilità. In altre parole, sembra chiaro a tutti che chi non effettua la transizione green è fuori dal tempo ed è rischia di uscire anche fuori dal mercato.
Da Riyad mi sono chiesta: le aziende italiane sono davvero pronte per questa svolta epocale?
Sicuramente l’Italia dovrà adattarsi in fretta, anche considerata la recente approvazione del Green New Deal Europeo, ossia il piano ambientale dell’Unione Europea fortemente voluto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, approvato il 15 gennaio dal Parlamento Europeo.
Nel documento si legge che i Paesi dell’UE dovranno adottare «interventi ambiziosi per far fronte al cambiamento climatico e alle sfide ambientali, allo scopo di limitare il riscaldamento globale a 1,5º C ed evitare una perdita massiccia di biodiversità».
Da questo inizio del 2020 stiamo cioè tutti prendendo l’impegno a vivere in una società europea climaticamente neutrale entro il 2050 riducendo le emissioni del 55% entro il 2030, invece che il 40% attualmente previsto.
Questo obiettivo richiedere l’aiuto di tutti e le imprese hanno un ruolo fondamentale nel sistema sociale globale impegnato a capire quali misure concrete adottare per tagliare le emissioni così tanto.
L’Europa si è impegnata a fornire energia pulita, economica e sicura che avviene anche attraverso una rapida abrogazione delle sovvenzioni dirette e indirette ai combustibili fossili entro il 2020 tanto a livello di UE che di singoli Stati membri. Questo deve far riflettere anche l’agricoltura, che consuma il 30% dell’energia disponibile, la maggior parte della quale deriva da fonti fossili e principalmente dal petrolio, contribuendo così ad inasprire la crisi climatica e a rendere i modelli alimentari fragili, con conseguenze sulla sicurezza alimentare, sempre più minacciata.
Altro punto del Green New Deal riguarda l’economia pulita e circolare; la transizione verso una mobilità sostenibile e intelligente; la disintermediazione nell’ambito del sistema agroalimentare (dal produttore al consumatore) concependo un sistema alimentare equo, sano ed eco compatibile, in modo da preservare e ripristinare la biodiversità con l’ambizione di garantire che i cittadini europei ricevono alimenti accessibili, di alta qualità e sostenibili, garantendo al contempo un tenore di vita dignitoso per gli agricoltori e i pescatori e la competitività del settore agricolo.
Sul tema della biodiversità, il documento «ricorda che le foreste sono indispensabili per il nostro pianeta e la biodiversità e accoglie con favore l’intenzione di contrastare la deforestazione mondiale e le chiede di intensificare le sue azioni in tal senso». Insomma il food è uno dei cardini del Green Deal, direttamente o indirettamente.
Ancora una volta gli imprenditori del food ricoprono un ruolo fondamentale nella svolta green.
Il mondo non è mai stato tanto in transito come in quest’epoca. Profondi cambiamenti sono in atto e dobbiamo essere pronti ad accoglierli. Siamo noi ad aver causato questa crisi e siamo noi a doverla risolvere.