Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei.
La dieta del futuro è già qui. E tu sei pronto?
Natale si avvicina e le famiglie italiane si preparano ad acquistare ingenti quantità di cibo per accogliere orde di parenti in arrivo. Le statistiche ci dicono che gli italiani sono gli europei che spendono mediamente di più durante le feste, proprio per il cibo. In particolare quasi il 30% del budget familiare andrà in cibo, tra regali e consumo in casa.
Mentre acquistiamo il cappone o il capitone, siamo davvero consapevoli dell’impatto che stiamo generando?
Teniamo all’educazione dei nostri figli o nipoti piu di qualsiasi altra cosa, pronti a fare sacrifici per offrirgli ogni migliore esperienza per prepararli al futuro; ma futuro stiamo lasciando loro?
Il “futuro” è già qui. Il futuro è figlio delle nostre dalle scelte di oggi ed proprio da quelle alimentari che deve partire il vero cambiamento. Abbiamo già esaurito le risorse planetarie a disposizione e stiamo sovrasfruttando un Pianeta stanco, che ha bisogno di essere rigenerato.
Può essere Natale, e può essere festa, anche nutrendo la nostra consapevolezza ad assumere comportamenti virtuosi per le future generazioni?
Noi di Future Food Institute crediamo di sì e crediamo che questa consapevolezza si acquisisca con la conoscenza e l’esperienza, che si trasforma in parole e azioni responsabili.
La maggior parte di quel 30% di budget diventerà menù delle famiglie italiane, composto da pesce, come da tradizione e in base alle regionalità.
Da dove proviene questo pesce e come viene prodotto, allevato o procacciato?
Farci queste domande aiuterà a vedere il legame tra il nostro presente ecosistemico e il futuro radioso per i nostri figli e nipoti.
Innanzi tutto, quando parliamo di pesci e di settore ittico, stiamo parlando degli obiettivi di sviluppo sostenibile nr. 6 (“acqua pulita e sanificazione”) e del nr. 14 (“vita sotto l’acqua”). Sono due di 17 obiettivi che l’ONU promuove per smetterla di sovrasfruttare le risorse del Pianeta e assumere comportamenti più virtuosi.
Ancora, è utile sapere che il pesce rappresenta il 17% dell’assunzione di proteine animali da parte della popolazione mondiale e che oltre il 30% degli stock ittici mondiali sono sovrasfruttati.
L’inquinamento che proviene dalla mano dell’uomo, inoltre, sta devastando i nostri mari e oceani (il 40% dei mari sono già fortemente inquinati), che sono il polmone blu del Pianeta, perché assorbono ingenti quantità di gas serra.
Esiste cioè un doppio effetto negativo che proviene dai nostri stili di vita: da una parte inquiniamo i pesci e mangiamo le microplastiche che noi stessi immettiamo nei mari; dall’altra roviniamo e acidifichiamo un ecosistema che assorbe CO2 (diossido di carbonio) che proviene dalle attività umane. In particolare il 30% di CO2 è assorbito dai mari.
E ancora, l’inquinamento che stiamo generando, erode le coste del nostro Paese (e non solo) e comporta un pericoloso innalzamento dei livelli del mare, che sta minacciando intere popolazioni.
Tutto questo è collegato alle nostre scelte alimentari.
E’ collegato al raddoppio del consumo globale di pesce e frutti di mare negli ultimi 50 anni, che secondo il Centro Comune di Ricerca Europeo è passato da 10 kg a 20 kg pro capite.
Dal punto di vista economico e sociale stiamo parlando di minacciare un mercato che ad oggi vale 3 trilioni di dollari all’anno e che tocca 3 miliardi di persone.
Questa catastrofe può e deve essere fermata, votando con la nostra forchetta. Può essere fermata agendo con consapevolezza e conoscenza del contesto più ampio del nostro piatto.
Possiamo guardare al nostro piatto nella sua dimensione passata, e quindi sapendo da dove proviene il nostro cibo, e nella sua dimensione futura, e quindi guardando alle conseguenze delle scelte alimentari fatte per Natale (e sempre).
Su questo punto, si parla tanto di allevamenti intensivi di carne e ancora troppo poco di allevamenti intensivi di pesce.
Oggi, a causa dell’aumento della domanda di prodotti ittici, è aumentata anche l’offerta. Secondo la FAO la produzione totale di pesce derivante sia dalla pesca che dall’allevamento è cresciuta del 70% negli ultimi 30 anni, arrivando ad un picco di circa 170 milioni di tonnellate di pesce generato nel 2016.
La fonte del pesce che compreremo per Natale sarà la pesca tradizionale, ma per il 53% compreremo pesci cresciuti in allevamento, attraverso l’acquacoltura, tecnica che cresce del 6% all’anno.
Esistono 3 tipi di acquacoltura: quella con allevamenti estensivi, quella con allevamenti semi-intensivi e infine quella intensiva. Nei primi, i pesci si nutrono quasi esclusivamente degli organismi già naturalmente presenti negli stagni in cui vivono, anche se ogni tanto vengono rilasciati dei fertilizzanti che incrementano lo sviluppo di questa vegetazione. Nei secondi (i semi-intensivi) viene soddisfatto il fabbisogno dei pesci al loro interno sebbene necessitino comunque di mangime che li porta a crescere molto velocemente e a raggiungere dimensioni maggiori del normale. Nei terzi (intensivi), i pesci vengono stipati in uno spazio ristretto, dove non essendoci abbastanza risorse per sfamare tutti, vengono cibati prevalentemente con mangimi.
Gli allevamenti intensivi possono alterare l’ecosistema biomarino ed anche il profilo nutrizionale del prodotto che arriva sulle nostre tavole non sempre è quello sperato.
In Europa, l’80% di pesci allevati come ad esempio la trota iridea, il salmone atlantico, l’orata e la spigola, derivano da metodi intensivi. Gli allevamenti intensivi tendenzialmente crescono pesci stressati e aggressivi, perché in cattività e stipati in gabbie troppo piccole per contenere tutto il fabbisogno della nostra crescente famelicità. Con gli allevamenti intensivi, l’acqua diventa un sporca facilmente ed il luogo ideale per contrarre malattie e infezioni. Un problema risolto generando un problema ancora più grande, cioè somministrando antibiotici che potrebbero avere conseguenze negativa per i pesci, l’ambiente e per i consumatori.
Ma esistono realtà virtuose che allevano in un ambiente sano, nel rispetto dell’ambiente, dell’animale, e grande attenzione agli aspetti nutrizionali.
Durante il bootcamp organizzato da Future Food Institute e FAO sul tema Cliamte-Smart Oceans abbiamo proprio studiato modelli esemplari che dimostrano che produrre in modo sostenibile è possibile il cambiamento sta avvenendo. Uno dei casi che ci ha maggiormente colpito è Arctic Fish, in Islanda, che nutre i pesci con nutrienti di qualità, senza antibiotici, in un ambiente caratterizzato da forti correnti, e in armonia con l’ecosistema ha creato una filiera di eccellenza. Un allevamento ittico sostenibile ed altamente innovativo, che ha a cuore lo stato di salute dei pesci, del consumatore, dell’ambiente e della comunità. Come dovrebbe essere.
L’ONU sta già dotando gli obiettivi di sviluppo sostenibile nr. 6 e 14 di sotto-obiettivi con indicatori precisi, ma sta a ciascuno di noi concorrere a perseguirli nella nostra vita quotidiana.
Sta per cominciare il 2020 e tutti dovremo lavorare per prevenire e ridurre l’inquinamento marino, in particolare quello derivante da attività terrestri; per gestire e proteggere in modo sostenibile gli ecosistemi marini e costieri; per ridurre al minimo e affrontare gli impatti dell’acidificazione degli oceani, con la cooperazione scientifica. Tutti dobbiamo lavorare per porre fine al sovrasfruttamento di mari che stanno diventando deserti acidi per riempire tavole imbandite di egoismo. Se il presente è irresponsabile, il futuro sarà catastrofico. Se saremo tutti informati, consapevoli, coscienti dei nostri voti attraverso la spesa, nutriremo di speranza e di nuove soluzioni, le future generazioni. Sta a noi la scelta, ora.