Toccata e fuga in Italia prima di ripartire: vengo da un mese estatico, senza un attimo di sosta. Prima tappa: Olanda, tra Amsterdam, Maastricht e Wageningen. Abbiamo visitato luoghi incredibili dove la tecnologia si sposa con la cucina gourmet, le lotte allo spreco alimentare si trasformano in opportunità imprenditoriali e i “pop-up” gastronomici fioriscono negli spazi di co-cooking urbani. Poi dritti negli Stati Uniti, Boston e New York ed infine a esplorare un luogo ormai mitologico per tutti quelli come me innamorati della parola ”innovazione”: la Silicon Valley. Google, Airbnb, Facebook, Ideo e tante altre icone dell’innovazione ci hanno ospitato nei loro quartier generali facendoci toccare con mano i luoghi da dove scaturiscono quelle idee disruptive che impattano quotidianamente sulle nostre vite.
Non sto usando la prima persona plurale per un’improvvisa esplosione del mio ego narrativo: “noi” siamo i coach, gli sherpa, gli storyteller e soprattutto i talenti del Food Innovation Program, il master attraverso cui il Future Food Institute, insieme all’Università di Modena e Reggio Emilia e l’Institute for the Future di Palo Alto, si propone di formare i migliori food-talents di domani. Il master, giunto alla sua seconda edizione e cominciato a settembre, prevede una fase di ricerca: la Food Innovation Global Mission. L’idea di organizzare una vera e propria Missione nasce da EXPO. Durante la prima edizione di Food Innovation Program la dimensione di ricerca internazionale è stata animata dall’Esposizione Universale che ha portato letteralmente il mondo intero nel nostro paese, mancando questo evento unico ed irripetibile abbiamo sentito un grande vuoto ed abbiamo deciso di proseguire questa esperienza di scambio culturale profondo e di mappatura globale delle innovazioni più rilevanti, dando vita a questa Global Mission con l’intento di scoprire le maggiori innovazioni che vorticano intorno al sistema food, condividendo l’esperienza con persone diverse che nutrono idee diverse. Alla fine del viaggio, la speranza è che ognuno dei nostri giovani talenti avrà assimilato idee, pensieri, aromi e colori, mescolandoli costantemente con i propri colleghi in un vero e proprio bazar di visioni e progetti.
60 giorni, 14 ragazzi, 12 nazionalità, 10 food hubs, 8 paesi. Il rosario algebrico della nostra Global Mission si sgrana così, da un continente all’altro, alla scoperta delle innovazioni che rivoluzioneranno la filiera agroalimentare. Noi europei ce ne dimentichiamo – o lo diamo per scontato – ma nel mondo le frontiere tra stati esistono ancora: alcuni dei nostri ragazzi hanno dovuto fare visti per ogni singolo paese che stiamo visitando e che visiteremo, altri non riusciranno nemmeno a fare il tour completo. Lo scopo della Global Mission è soprattutto quello dell’osservazione, da parte degli studenti del nostro master, di mondi diversi dal loro. Solo così, ne siamo convinti, apprezzeranno la diversità come un valore che si insegna e si trasmette. Un valore che costruisce, che distingue per valorizzare e non per dividere.
Lo studio e la ricerca sul campo, grazie alle indicazioni dei loro project partners, sta consentendo ai giovani talenti del FIP di toccare con mano l’esperienza del food-making in loco. Le nostre tappe includono alcuni degli angoli gastronomici più interessanti al mondo: Singapore, Cina, Giappone, Sud Corea, Regno Unito e, appunto, Olanda e Stati Uniti. Naturalmente nell’elenco c’è anche la nostra Italia. Ogni talento ha un progetto e una missione da portare a termine, ognuno ha quella fame di idee e di scoperta che difficilmente si conserva con l’avanzare dell’età.
Conoscere i Food Heroes, identificare le Food Icons, esplorare i Food Rituals del mondo è l’obiettivo principe di questo viaggio. In valigia ci portiamo la convinzione che il futuro non sia un’idea lontana e sfuocata: il futuro è adesso e va esplorato il più a fondo possibile, per portarlo negli angoli di mondo che hanno perso il treno dell’innovazione.
La globalizzazione ha inevitabilmente ridotto lo zoom delle business vision del globo: nessuno oggi può permettersi di immaginare una geografia dei mercati limitata in scatole nazionali. Al netto della retorica politica anti-global che sta avanzando in Occidente, la maggior parte delle persone nel mondo saluta con entusiasmo il crollo dei muri e delle barriere tra popoli. Questo non vuol dire che non ci siano rischi, pericoli, conseguenze negative nel processo di ingigantimento del tavolo da gioco. Ogni azienda, oggi, deve saper valorizzare il territorio locale entro cui è stata concepita la sua idea, il suo progetto. E non per paura di un qualche candidato-presidente col parruccone troppo biondo e la rabbia pulsante sulla tempia, ma perchè è quello che la gente desidera e chiede.
Le persone apprezzano la globalizzazione per l’ampliamento di orizzonti che gli concede. Aprire le scatole nazionali significa portare prodotti, idee, ingredienti, merci e cibi dal mercato di un villaggio a quello di un altro. Dall’est all’ovest del mondo, globalizzare un’idea non significa stravolgerne il carattere, a-personalizzarne l’essenza nel goffo tentativo di parlare un esperanto del business. Rendere un’idea, un progetto, un prodotto globale significa studiarne i contorni e raccontarlo nei gesti che possano parlare a chiunque sia disposto ad ascoltare e ad imparare.
La Global Mission del nostro Food Innovation Program è tutto questo e molto di più. E’ conoscere il global per valorizzare il local, è esplorare il mondo per capire il villaggio, è comprendere l’innovazione per comunicarla attraverso il linguaggio universale eterno: il cibo.
Prossima tappa: ASIA, dove il sole sorge tutte le mattine e l’innovazione è sempre ai blocchi di partenza.
Che l’avventura prosegua!
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