Ho avuto quest’anno il privilegio di essere a Davos in occasione della 50esima edizione del World Economic Forum. “Azionisti responsabili per un mondo coeso e sostenibile”, il titolo di questa edizione che a detta dei “veterani” del WEF, ha rappresentato un vero “cambiamento epocale del paradigma del capitalismo”; un modello obbligato oggi a prendere provvedimenti immediati che possano contrastare l’accelerazione della crisi climatica in atto, facilitando la transizione verso un modello di vita circolare e a zero emissioni.
Premi Nobel, imprenditori visionari, finanzieri, leader politici, crypto millionaires, unicorns, grandi società di consulenza, colossi della silicon valley, fondazioni e NGO, agenzie delle Nazioni Unite hanno animato centinaia di dibattiti e tavoli di lavoro che hanno, per la prima volta visto gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 costantemente al centro di ogni conversazione.
Come imprenditrice italiana che ha dato vita ad un ecosistema internazionale, ho vissuto quest’esperienza con una doppia lente: quella del nostro Paese grande assente al Forum a causa della situazione politica nazionale e quella priva di confini geografici, quella delle partnership, quella globale in cui sono abituata a operare. Assetata di sapere e desiderosa di trovare soluzioni, sono stata colpita dallo strabismo di contenuti e strategie, perché la sperequazione che vedo tra l’Italia e il resto del mondo continua a farmi porre delle domande sulla direzione che il nostro sistema Paese sta prendendo e a immaginare delle risposte, che sono quelle che con il Future Food Institute cerco di dare ogni giorno.
Cosa vuol dire capitalismo responsabile? E cos’è la quarta rivoluzione industriale?
Lo spiega la quindicesima edizione del Global Risk Report elaborata da oltre 750 esperti e decisori politici da tutto il mondo, firmato da Børge Brende Presidente del WEF, che hanno classificato le loro maggiori preoccupazioni in termini di probabilità e impatto, facendo emergere un quadro instabile, incerto, iniquo e permeato da un cambiamento climatico che incombe non più come minaccia ma come realtà che sta creando danni economici e perdite senza precedenti di biodiversità.
Di fronte a questa catastrofe, è indispensabile accrescere i livelli di responsabilità del settore privato che dovrà essere sempre più disponibile a lavorare con il settore pubblico. Non è più pensabile lavorare chiusi in silos e nelle categorie a cui eravamo abituati. La cross pollination tra settori, la capacità di agire in gruppi di multi stakeholder diventa un ingrediente fondamentale per il cambiamento.
L’era della leadership di pensiero è finita, ora bisogna passare all’azione, perché non c’è più tempo.
Lo dimostra il progetto SDG Ambition del UN Global Compact che grazie al supporto di SAP e Accenture ha finalmente lanciato, proprio durante il Summit, una piattaforma gratuita e aperta a tutte le organizzazioni, pubbliche e private, profit e non profit, per misurare la compliance agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, indirizzare le scelte strategiche di business all’interno di un framework orientato alla generazione di prosperità.
SDG Ambition incoraggerà le aziende in tutto il mondo ad alzare il loro livello di ambizione per soddisfare le esigenze della società e del pianeta integrando pienamente modelli sostenibili guidati dagli SDG.
Un progetto voluto fortemente anche del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha dichiarato “quello di cui abbiamo bisogno non è un approccio incrementale, ma un approccio trasformazionale. E abbiamo bisogno che le aziende si uniscano dietro la scienza, con azioni rapide e ambiziose che trasformino le operation, ridistribuendo il valore nelle filiere produttive“. Un progetto che a detta di Lise Kingo Direttore esecutivo del Global Compact delle Nazioni Unite, “ha l’ambizione di creare un movimento globale inarrestabile per creare finalmente mondo che vogliamo. La comunità imprenditoriale globale non si sta muovendo alla velocità o alla scala necessaria per realizzare il programma dettato dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile Gli obiettivi non saranno raggiunti senza una maggiore ambizione e una più profonda integrazione dell’intero sistema”. Un progetto reso possibile proprio grazie a quella partnership strategica con SAP, da sempre grande promotore degli SDGs come fattore chiave per scalare l’impatto positivo del business nel prossimo Decennio dedicato all’azione, ed Accenture.
Ma è anche quello che nel suo piccolo il Future Food Institute sta facendo ad esempio con FAO. Privato e pubblico insieme stanno lavorando per la rigenerazione del Pianeta attraverso il cibo, sperimentando nuovi modelli di apprendimento multidisciplinare, di costruzione di community globali consapevoli e ideando nuovi strumenti per leggere un presente in continua fase di trasformazione. Ed è stato proprio il Direttore Generale di FAO, Qu Dongyu, a presentare l’iniziativa “hand in hand”, che fa incontrare donors e beneficiari in modo più mirato per assistere le persone più vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo e aiutare a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, dando la priorità ai paesi più poveri e più vulnerabili ai conflitti e alle condizioni climatiche estreme. Il cibo e l’agricoltura rigenerativa sono viste in questo processo come la chiave per raggiungere l’inclusione sociale e l’equità, in un mondo dove la ricchezza è nelle mani di pochi (in Italia, il 70% di questa ricchezza si è concentrata nelle mani del 20% più ricco della popolazione).
Al termine di questa maratona travolgente di pensieri, incontri e riflessioni, sono sempre più convinta che la responsabilità degli imprenditori oggi sia quella di facilitare la collaborazione multisettoriale e trasformare le preoccupazioni del Global Risk Report in opportunità. Questo è il passaggio chiave.
Tali preoccupazioni riguardano 2 archi temporali: nel breve periodo si riferiscono a scontri commerciali e polarizzazione delle politiche interne; nel medio periodo si riferiscono appunto ad ambiente e clima. E per la prima volta al WEF è su questo secondo punto che si sono concentrati i primi 5 rischi globali che tutti noi dovremo considerare nelle nostre analisi:
– eventi meteorologici estremi;
– perdita di biodiversità;
– fallimento nella mitigazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici;
– catastrofi naturali;
– danni ambientali causati dall’uomo.
Sono stati cioè individuati tutti rischi legati all’ambiente, non menzionando ad esempio la crisi della globalizzazione e delle tensioni geopolitiche di questi giorni, come in Iran in Libia, di cui pure si è parlato al Forum. E’ il nuovo capitalismo responsabile che sta prendendo piede e che mi ha fatto ripensare alla lettera di fine anno di Larry Fink, CEO di Black Rock, che lancia un appello autorevole ed che prende un impegno in prima persona, di inserire nuovi indicatori per la valutazione degli investimenti, legati agli impatti ambientali, non computando solo indicatori economico-finanziari.
La Quarta Rivoluzione Industriale è stata definita da Klaus Schwab, professore di economia politica all’Università di Ginevra, e fondatore e attuale direttore esecutivo del World Economic Forum “la rivoluzione plasmata da tecnologie avanzate dove il mondo digitale e quello fisico-biologico si combinano, cambiando fortemente il modo in cui i singoli individui, i governi e le aziende si relazionano gli uni con gli altri”.
Questa rivoluzione sta scardinando i paradigmi della vecchia economia più rapidamente di quanto non possiamo immaginare e chi non si adegua, non ascolta, nega la realtà è destinato ad esserne travolto. Le 4 I della Quarta Rivoluzione industriale [Infrastrutture, Investimenti, Innovazione e Inclusione], si combinano con le 3 P dei Sustainable Development Goals [People, Planet e Purpose] e scandiscono il ritmo serrato del nuovo e necessario modello di capitalismo responsabile che oggi lega redditività a sostenibilità in maniera imprescindibile.
Ora “It’s only about Action”!