Roma – The Social Hub: un convivio per celebrare la Cucina Italiana, la Dieta Mediterranea e il potere dell’autenticità alla vigilia di un riconoscimento storico
Ci sono sere in cui capisci che il cibo non è solo nutrimento, cultura, convivialità.
È responsabilità, verso i territori che ci generano, verso le persone che siedono accanto a noi – e verso quelle che verranno dopo. Una tavola può essere un gesto leggero, ma anche un atto profondamente politico. Può essere intrattenimento, oppure infrastruttura di senso.
La serata che abbiamo vissuto a Roma, a The Social Hub, è nata proprio da questa consapevolezza: che oggi, nel tempo delle fratture, delle accelerazioni e delle semplificazioni violente, creare uno spazio di incontro autentico è un atto radicale.E che il cibo, quando è vero, quando è giusto, quando è custodito, sa ancora fare ciò che la diplomazia formale spesso dimentica: mettere le persone in relazione profonda.

Essere host di questa serata è stato per me un onore autentico. Perché The Social Hub non è semplicemente un luogo: è una visione che prende forma. Un ecosistema che costruisce ponti, connette generazioni e background diversi, e sceglie deliberatamente di investire nel capitale più fragile e più potente che abbiamo: le relazioni umane.
Per questo il mio primo, immenso grazie va a Charlie MacGregor fondatore visionario di The Social Hube Frank Uffen, Advisor & Chairman of the TSH Talent Foundation, per aver sostenuto questa idea con fiducia e visione. E a Eugenio Russo e a tutta la squadra, che l’hanno resa concreta, viva, possibile. Senza retorica. Con cura, competenza e attenzione ai dettagli.
Il cibo come memoria
Quella sera abbiamo scelto di partire da un’idea semplice e antica: il cibo è memoria.
Non una memoria astratta, ma incarnata. Fatta di gesti ripetuti, di tempi lunghi, di profumi che ritornano all’improvviso e sanno evocare affetti profondi, persone che non ci sono più, luoghi che continuiamo ad abitare dentro.
Il cibo è il primo linguaggio affettivo che impariamo. È il modo in cui veniamo accolti, rassicurati, riconosciuti. Ed è anche uno strumento potentissimo di gastro-diplomazia: perché quando condividi un pasto autentico, le gerarchie si sciolgono, le difese si abbassano, nasce uno spazio di fiducia.
Alla vigilia della grande celebrazione della Cucina Italiana come Patrimonio Immateriale UNESCO, e a valle di una missione intensa negli Stati Uniti – dove si è appena concluso il negoziato sul testo della risoluzione che istituisce il 16 novembre come Giornata Internazionale della Dieta Mediterranea, ora avviata verso l’adozione formale da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – quella tavola aveva un valore ancora più profondo.
Era una micro-diplomazia del quotidiano.
Un esercizio concreto di responsabilità culturale.
Bellezza, diversità, sapienza del fare
Attorno a quella tavola abbiamo voluto amici. Persone che rappresentassero la celebrazione della bellezza e della diversità, della saggezza, della sapienza del fare, della cura come atto consapevole.
Per raccontare la potenza – e la responsabilità – dell’autenticità in un piatto, ho chiesto a due grandi ambasciatori della Dieta Mediterranea di accompagnarmi.

Peppe Giuda ha scelto la via più difficile e più rivoluzionaria: la semplicità.
Uno spaghetto. Dentro quello spaghetto c’era tutto. Un’esplosione di gusto non costruita con additivi, ma con ingredienti preziosi, coltivati con pazienza. Preparazioni lunghe, meticolose. Natura, tempo e cura. Tre ingredienti essenziali che oggi, nel sistema alimentare globale, sono diventati quasi sovversivi.
Silvia Chirico ha portato in tavola un gelato che non era un dessert, ma un racconto. Un gelato che parlava di terra e memoria, di radici profonde e identità stratificate. Myrsine prende il nome da una fanciulla della mitologia greca che, per aver osato sfidare e battere un giovane nelle gare atletiche, venne uccisa per invidia. Atena, mossa a compassione, la trasformò in una pianta di mirto, affidandole per sempre il compito di custodire il coraggio, la vittoria e la forza femminile.
In quel gelato il mirto non è aroma, ma destino: avvolge la mozzarella nella mortella, inverdisce il Mediterraneo, sprigiona un profumo di macchia, di resina, di buono. È il “misto” che per Silvia è casa. Il latte crudo di bufala, munto al mattino e trasformato in gelato, completa il gesto: un atto di fiducia radicale nella vita, nella filiera, nel tempo giusto delle cose. Un dolce che non consola soltanto, ma ricorda.
La madeleine e il dovere di ricordare
A chiudere la serata, un gesto apparentemente semplice, ma densissimo di significato: due madeleine, avvolte in un fazzoletto ricamato. Su ogni fazzoletto, una parola. Una parola personale, intima, legata alla memoria.
Un riferimento inevitabile a Marcel Proust, che ci ha insegnato che il sapore può diventare una chiave segreta capace di spalancare interi mondi interiori. La madeleine non è nostalgia. È responsabilità della memoria. È la prova che ciò che mangiamo può renderci più consapevoli di chi siamo stati e di chi vogliamo diventare.
Una promessa, non un evento
Quella sera non volevamo dimostrare nulla.
Volevamo ricordare.
Ricordare che la Cucina Italiana non è un museo, ma un sistema vivente fatto di mani, di stagioni, di attese, di errori e di silenzi.
Ricordare che la Dieta Mediterranea non è una moda salutista, ma un patto tra esseri umani, natura e tempo, oggi chiamato a una nuova responsabilità globale.
Attorno a quella tavola non cercavamo consenso, ma presenza.
Non storytelling, ma verità.
Non performance, ma cura.
Perché l’autenticità, nel cibo come nella vita, non è mai neutrale: implica scelte, lentezza, fedeltà ai territori e alle persone. E oggi, più che mai, implica coraggio.
Se c’è una cosa che porto con me da quella sera è questa:
il futuro del nostro stare insieme non si costruisce solo nei grandi consessi internazionali, ma anche – e forse soprattutto – attorno a tavole come questa, dove la memoria non è nostalgia, ma materia viva con cui immaginare ciò che viene.
E dove il cibo torna a essere ciò che è sempre stato nel Mediterraneo:
Un atto d’amore. È una promessa.