Il futuro non è dappertutto. È nei luoghi che scelgono di coltivare ciò che sono.

Ci sono eventi che non sono semplici appuntamenti in agenda, ma vere e proprie occasioni di intelligenza collettiva. Il Premio Speciale Repower Innovazione e Turismo 2025, quest’anno ospitato a Napoli, è stato esattamente questo: un crocevia di visioni, un laboratorio di futuro, un incontro di menti capaci di leggere il Paese con grazia, sensibilità e precisione scientifica. Un’iniziativa che nasce dal coraggio di un’azienda che innova per davvero, perché sente, sa e sostiene con una profondità rara nel panorama industriale contemporaneo. Una scelta coerente con la natura stessa del Premio, pensato per interrogarsi sulle trasformazioni del settore turistico e sulle sue sfide strutturali, come spiegato nell’introduzione di Fabio Bocchiola, Amministratore Delegato di Repower Italia.

Ci siamo ritrovati in una città perfetta per questo confronto: Napoli, un luogo che non si osserva, si attraversa; non si interpreta, si sente. Una città che ti costringe a riconoscere che la cultura, è contaminazione costante e scambio, non è ornamento, ma motore; che la bellezza non è un attributo estetico, ma un’economia; che il turismo, senza cura, rischia di diventare una forza centrifuga che allontana i residenti e scompone le comunità, mentre con cura può diventare un atto di rigenerazione collettiva.

L’evento è stato come tessere una trama raffinata fatta di competenze, contaminazioni e sensibilità. A partire dai topic leader (Edoardo Colombo, Presidente di Turismi.AI; Pierluigi Sacco, Università di Chieti-Pescara; Sergio Beraldo, Università Federico II) che accanto a me hanno guidato i tavoli tematici: intelligenza artificiale, cultura, infrastrutture, connessioni. Un mosaico di voci che ha reso evidente quanto il turismo oggi sia un sistema interconnesso, tecnologico, umano, relazionale, e quanto l’Italia abbia bisogno di una nuova narrazione che non banalizzi la sua complessità, ma la trasformi in valore.

A guidare l’evento Cristiano Seganfreddo, con grazia, garbo e quell’ironia sopraffina che sa dire la verità con una leggerezza che non infastidisce, ma apre. Cristiano ci ha ricordato che la nostra cultura non è programmazione: è editorialità. Che i territori non hanno bisogno di manager di eventi, ma di curatori di senso. Che ogni scelta culturale è una scelta narrativa, e che la narrazione è il primo atto della rigenerazione.

E poi Napoli.
Napoli ci ha offerto il contesto perfetto per domandarci che cosa significhi davvero “turismo culturale” in un Paese come l’Italia: un Paese di diversità radicali, di differenze che non vanno appiattite ma gestite, alimentate, trasformate in forza generativa. Un Paese di creatori, non di replicatori. Di curatori, non di consumatori.

Perché cultura è coltivare.
È cura.
È tenere insieme ciò che siamo e ciò che potremmo diventare.

I luoghi vivono, si formano e si evolvono grazie alle connessioni. Nessun territorio esiste da solo: prende forma dagli incontri, dalle collisioni, dalle relazioni che intrecciano nel tempo persone, saperi, economie, memorie e visioni. È nelle connessioni, tra comunità, cittadini temporanei e visitatori, tra scuola e patrimonio, tra pubblico e privato, tra passato e futuro, che un luogo trova la sua identità dinamica: non come fotografia immobile, ma come ecosistema vivo, capace di rigenerarsi.

Un territorio è vitale quando diventa una piattaforma di scambio: quando chi arriva non consuma, ma entra in relazione; quando chi vive non subisce il cambiamento, ma è partecipe; quando le differenze non dividono, ma generano nuovi significati. I luoghi prosperano solo se sono attraversati da connessioni che alimentano senso, cura, creatività e appartenenza.

Ed è proprio in questa rete di relazioni che si apre il grande tema di Cultura e Turismo, fulcro della trasformazione rigenerativa che desideriamo attivare.

La cultura è linfa vitale, un ecosistema vivo che modella il modo in cui un territorio respira, crea, si racconta e si rigenera. In Italia questo intreccio è ancora più profondo, perché siamo un Paese in cui la diversità è la forma originaria del patrimonio, e ogni territorio custodisce un alfabeto unico fatto di storia, creatività, gastronomia, arte, paesaggi e gesti che si manifestano nel modo di vivere e accogliere.

Oggi la sfida non è solo “valorizzare” ciò che abbiamo, ma curarlo, narrarlo e renderlo abitabile in modo nuovo, trasformando la nostra pluralità in un vantaggio competitivo.

Il turismo, in questa prospettiva, non deve essere un consumo del territorio: può essere un’alleanza con esso.
La cultura è la sua infrastruttura invisibile:

  • un presidio di identità,
  • un’energia rinnovabile sociale,
  • una leva che tiene insieme comunità, economie e futuri possibili.

Quando cultura e turismo si incontrano in modo consapevole, l’Italia non solo attrae: genera futuro.

Ripenso alle parole di Antonia Trichopoulou, ai suoi oltre cinquant’anni di studi sulla Dieta Mediterranea, alla sua visione del patrimonio immateriale come fondamento della salute, della longevità, della coesione di una comunità. Ripenso alla sua idea secondo cui la cultura non è un “di più”, ma il cuore stesso del benessere collettivo. E mi tornano alla mente le sue parole quando, la scorsa settimana, durante le celebrazioni per i 15 anni del Patrimonio UNESCO, ha parlato di Pollica, della nostra comunità emblematica, del lavoro che ogni giorno portiamo avanti per salvaguardare, custodire, attualizzare e trasmettere il “vivere mediterraneo“.

E mi rendo conto che tutto torna:
Quando cultura e turismo si incontrano in modo consapevole, l’Italia non solo attrae, ma dalle radici, genera futuro.

E ha ragione Fabio Bocchiola, CEO di Repower, quando dice che “il futuro non è dappertutto”.

Il futuro, oggi, È nei luoghi — come Pollica — che scelgono di coltivare ciò che sono.
Luoghi che non si limitano a resistere, ma generano.
Luoghi che non si limitano ad accogliere, ma trasformano.
Luoghi che, attraverso la cultura, decidono di radicare nel futuro.