L’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di valutare le conoscenze scientifiche relative alla sicurezza alimentare e alla nutrizione del mondo, l’High Level Panel of Experts of Food Security and Nutrition (HLPE) del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale (CFR), nel 2017 ha sancito una definizione dei sistemi alimentari tuttora utilizzata dalla FAO. «Tutti gli elementi (ambiente, persone, fattori di produzioni, processi, infrastrutture, istituzioni, ecc.) e le attività che riguardano la produzione, la trasformazione, la distribuzione, la preparazione e il consumo di cibo, e i risultati di queste attività, compresi gli esiti socio-economici e ambientali».
Si comprende quanto questo agglomerato, che oltre valica di gran lunga il solo concetto di cibo, se scalfito anche solo in una delle sue parti, può essere vulnerabile a un crollo generale dovuto a una pressione insostenibile di una popolazione urbana in progressiva crescita, dell’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, della crescente variabilità del clima, del degrado ambientale, della perdita di biodiversità e dell’iniquità sociale. Si aggiungano l’incertezza politica, l’instabilità dei mercati e l’insicurezza sociale dovute alla guerra in Ucraina che influiscono sull’aumento dei prezzi, sull’interruzione delle forniture, sull’aumento dei prezzi dei prodotti: insomma, nuove minacce alla sicurezza alimentare, alla nutrizione, alle risorse naturali e all’inclusione sociale.
Dunque, come intervenire per tutelare i sistemi alimentari e, di conseguenza, prendersi cura di «tutti gli elementi» citati dall’HLPE?
Senza dubbio, dall’integrazione di programmi e strategie nazionali già esistenti e dalla cooperazione intergovernativa, finalizzati a introdurre un approccio sistemico alla politica alimentare. E, senz’altro, da un continuo dialogo intersettoriale che coinvolga tutti gli attori del processo decisionale relativo all’alimentazione. Ma anche dall’adozione di misure concrete per rendere operativi gli obiettivi fissati dai singoli governi e dall’Agenda 2030.
Tutto vero. Eppure, una strategia finalizzata a prendersi cura del sistema alimentare non può prescindere da un importante fattore di trasformazione, che – se non trasversalmente – prescinde da azioni governative e istituzionali: il cambiamento di mentalità, che può derivare unicamente dalla diffusione di una più ampia consapevolezza sul tema alimentare.
Perché non c’è mai possibilità di rinnovare e rigenerare un sistema – che sia naturale o umano – senza agire su ognuno degli elementi reciprocamente interconnessi e interagenti tra loro o con l’ambiente esterno. Questi elementi sono le persone: siamo noi, con la nostra coscienza (o incoscienza) riguardo all’enorme potere del cibo come fattore di rigenerazione integrale.
La mia esperienza mi porta ad affermare con convinzione che anche un singolo incontro, persino casuale, può determinare un cambiamento radicale della nostra mentalità, del modo in cui ci rapportiamo al cibo e a tutto ciò che a esso è correlato e irrelato.
È pur vero che, se si vuole agire su larga scala è necessario aderire a progetti che agiscono in tale direzione, valorizzandoli.
L’obiettivo del progetto europeo SWITCH, finanziato da Horizon Europe, in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs), è esattamente quello di cambiare i sistemi alimentari dei cittadini europei per una transizione alimentare giusta, salutare e sostenibile attraverso la conoscenza e l’innovazione.
Un’approfondita ricerca, un approccio scientifico e un uso sistematico delle tecnologie – lungo l’intera filiera alimentare, dalla produzione al consumo – sono i tramiti mediante cui SWITCH si propone di diffondere e radicare una più ampia consapevolezza e diffusione di sistemi alimentari sani e sostenibili nell’Unione Europea; un miglioramento della comprensione delle lacune, in termini di formazione e accessibilità, che limitano l’adozione su larga scala di modelli alimentari salutari per le persone (e, di conseguenza, per l’ambiente, per la biodiversità, per la società, per l’economia). Perché diete sostenibili – intese nel senso etimologico del termine, dal greco díaita: modo di vivere, e non un semplice elenco di alimenti – creano modelli di sviluppo sostenibili e inclusivi che non abbiano come principale fine il profitto, ma l’incontro virtuoso tra territorio e persone.
Sin dal suo avvio nel gennaio 2023, SWITCH si propone di raggiungere tale transizione mediante un’attenta valutazione delle dinamiche socio-economiche, ambientali e nutrizionali della produzione e del consumo alimentare dei singoli territori, valorizzandone anche la diversità sociale, culturale, economica, ambientale e agronomica – che mai dev’essere sottovalutata e repressa a favore di diete globali e dell’adozione di strumenti, come il Nutri-score, tramite cui è impossibile raccontare la complessità dei valori che il cibo rappresenta.
Per tal motivo l’asset strategico del progetto SWITCH sono Food Hubs che rappresentano i sistemi alimentari delle regioni urbane (CRFS); ovvero, secondo la definizione della FAO, «tutti gli attori, i processi e le relazioni che sono coinvolti nella produzione, trasformazione, distribuzione e consumo alimentare in una determinata regione urbana». Si tratta di regioni geografiche – che includono uno o più centri urbani, e le loro aree circostanti, periurbane e rurali – attraverso cui fluiscono persone, cibo, beni, risorse e servizi ecosistemici, e tutti gli attori e le attività del sistema alimentare. In tutta Europa ne sono sei: Roma e la regione del Lazio; Berlino e la regione del Brandeburgo; Montpellier e la regione dell’Occitania; Cagliari e la regione della Sardegna; Göteborg e la regione di Västra Götaland; San Sebastian e la regione basca.
In quattro anni, i Food Hubs e i partners coinvolti nel progetto – in una strategia congiunta di co-creazione di soluzioni eque e sostenibili per tutti i consumatori – puntano a implementare localmente la sostenibilità ambientale, economica e sociale; migliorare i modelli alimentari e i relativi approcci culturali; aumentare la conoscenza, la consapevolezza e l’accessibilità della domanda e dell’offerta di cibi sostenibili e salutari.
I partner coinvolti nel progetto sono attualmente 20. Sei quelli italiani: CMCC; Future Food Institute; Agro Camera (ARM); pOsti; UNINA Federico II e UNICAMP. Quattordici quelli provenienti da ogni parte d’Europa: BBC Innovation; DAS BAUMHAUS; IIASA; EPFL – École polytechnique fédérale de Lausanne; Kutxa Fundazioa and Kutxa Ekogunea; LAORE; INRAE – Institut National de Recherche pour l’Agriculture, l’Alimentation et l’Environment; RISE – Research Institutes of Sweden; UPM; Wageningen University & Research; ZALF; Chalmers Sweden; BC3; Antistatique.
Osservando le dinamiche di interazione tra l’uomo e il suo nutrimento in relazione alla salute, alla cultura e all’ambiente, e considerando i cambiamenti creati dall’uso delle nuove tecnologie e dalle trasformazioni sociali in atto, appare chiaro che l’innovazione deve sempre essere prima di tutto culturale: perché, per realizzarsi pienamente e realmente, deve basarsi sul cambiamento di mentalità. SWITCH agisce esattamente in tale direzione.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che progetti e piattaforme abilitanti di tale calibro, affinché siano funzionanti, devono essere sempre affiancati da una formazione intesa come educazione umana integrale, come Paideia: un processo di apprendimento continuo che crea un’intima relazione tra l’uomo e l’ambiente, fondata su un rapporto di assoluta comunione e co-creazione di valore.