Tutelare, valorizzare e dare voce e potere alle donne in agricoltura è un aspetto che non si può più posticipare.
Ultimo, solo in termini temporali, è il report di qualche giorno fa della Relatrice Speciale delle nazioni Unite sulla tratta di persone, Siobhán Mullally. Un documento che punta il faro sulle persone maggiormente vulnerabili nel settore agro-alimentare: bambini e donne, queste ultime esposte a rischi che oggi non dovrebbero essere permissibili: traffico di esseri umani e ad altre forme di violenza, compresi abusi, lavoro forzato, lavoro sottopagato, insufficienti tutele di salute e sicurezza, molestie sessuali, che al contrario continuano a caratterizzare un sistema agro-alimentare mondiale distorto e malato.
“Quando il lavoro agricolo delle donne è invisibile, le lacune nelle misure di assistenza, protezione e prevenzione della tratta sono ancora maggiori” si può leggere nel report.
Infatti, nel panorama globale dell’agrifood, le donne rappresentano una risorsa importantissima. Basti pensare che in media la componente femminile nel settore dell’agricoltura è pari al 70% del totale, percentuale che in alcuni paesi raggiunge addirittura tassi del 90% secondo la FAO. Tuttavia, troppo spesso queste donne non vengono ascoltate o non dispongono dei mezzi e degli spazi necessari a far sentire la propria voce ai vertici della filiera.
La presenza femminile nel settore agroalimentare italiano è una presenza in graduale crescita. Sono più di 200.000 le aziende agricole italiane condotte al femminile, quasi il 30% del totale, collocate la maggior parte nel Mezzogiorno (Sicilia, Puglia e Campania) e con particolari presenze nel mondo dell’agriturismo, delle fattorie didattiche, del biologico e del comparto zootecnico e floricolo. Eppure, questo non significa che le disparità di genere non esistano. Il Fondo Impresa Donna, ad esempio, lanciato per sostenere anche economicamente l’imprenditoria femminile, non include il settore agricolo, sintomo di una patriarcalizzazione non ancora pienamente superata, mentre invece le disparità salariali di genere continuano ad essere fortemente presenti nei campi italiani.
Per questo motivo, fare network e riunire le donne che ogni giorno contribuiscono con cura e dedizione al settore agricolo e dell’ortofrutta italiano è essenziale.
Una tematica che è stata centrale in occasione della EU AgriFood Week, promossa dal Future Food Institute, in collaborazione con la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, per collegare stakeholder, per avvicinare le istituzioni ai veri protagonisti del cibo, per tradurre ambizioni in Rigener-AZIONE, partendo dalla volontà europea di capire, contaminarsi, essere reale portavoce dei bisogni locali.
“Da soli non si va da nessuna parte, è importante fare rete, soprattutto al femminile ma non solo” ha ricordato in quell’occasione Linda Carobbi, Presidente dell’Associazione Nazione Le Donne dell’Ortofrutta che riunisce infatti oltre 230 donne del settore ortofrutticolo italiano. Una rigenerazione che dal territorio e dalle comunità locali passa attraverso le donne dell’agrifood, che garantisce cura, autenticità e nutrimento del cibo e che merita di essere raccontata. Per questo motivo, con il film Fertile, presentato l’11 maggio a Milano durante il festival Sguardi Altrove, l’Associazione Nazione Le Donne dell’Ortofrutta ha scelto di raccontare la storia delle donne produttrici, dei loro sacrifici, della passione e della tradizione di questo settore.
Ed è quando la passione di queste donne e la tradizione del settore agroalimentare incontrano le idee innovative di giovani donne imprenditrici che la vera rigenerazione ha luogo. Ne rappresentano veri e propri esempi viventi il progetto progetto FOEN, ideato da Maria Pia Paolillo e focalizzato sulla valorizzazione del finocchio sia nel settore alimentare che in quello farmaceutico e cosmetico. Attraverso la collaborazione con una rete di chef, barman, gelatai, case farmaceutiche ed esperti di laboratorio, FOEN trasforma il finocchio, solitamente consumato a crudo, in prodotti naturali e ricchi di proprietà che vanno dai sorbetti, ai cocktail, fino ai cosmetici. Un esperimento che si fonda sul know-how già presente all’interno dell’azienda di Maria Pia, ma che prosegue coinvolgendo gli attori chiave del territorio, da cui vengono raccolti i semi –provenienti da 6 ragioni diverse-, lavorato il prodotto in magazzino, e commercializzato anche nella grande distribuzione organizzata (GDO).
Ma il valore femminile nel settore agroalimentare italiano si misura anche nella creatività e capacità di rivalorizzare i tanti prodotti dimenticati del nostro territorio. E’ stato il caso di Luciana Cipriani, fondatrice di Natura Humana, capace di riportare nei nostri campi la carruba. Tramite un’estrazione a freddo che sappia conservarne le proprietà nutritive, le vitamine, i minerali, le fibre e gli antiossidanti present, Luciana è riuscita a produrre e a mettere un commercio un miele vegetale ricavato dalla sola trasformazione lavorazione e conservazione della carruba al naturale. Ancora una volta, nella storia di Natura Humana, innovazione e tradizione si fondono per ridare valore a uno degli alimenti chiave della dieta dei nostri avi, utilizzato per alimentare il bestiame ma anche e soprattutto in tempi di carestia e come snack dolce e salutare, da cui la denominazione della carruba come “cioccolato dei poveri”.
Tutte queste storie di donne capaci e tenaci ci hanno mostrato quanto sia importante dare loro voce e facilitare le connessioni affinché il potenziale inespresso delle donne dell’agri-tech venga finalmente alla luce e valorizzato. A questo proposito, Future Food Institute è il partner italiano del programma di EIT Food, EWA- Empowering Women in Agrifood, che si pone l’obiettivo di dedicare a 10 imprenditrici dell’agrifood un programma di formazione di 6 mesi per lo sviluppo di soluzioni e business sostenibili.
Un modo concreto per valorizzare l’importante contributo che le donne possono offrire ad un settore essenziale e strategico come quello agroalimentare. Perché il percorso verso una rigenerazione ecologica integrale non può prescindere da una piena inclusione, parità ed eguaglianza, inclusa quella di genere.
Perché oggi più che mai abbiamo bisogno di ecosistemi e persone generose e coraggiose capaci di nutrirli.