Esiste un posto speciale a Bologna: l’Opificio Golinelli . Un luogo di formazione, innovazione ed ispirazione, dedicato scienza, imprenditorialità e cultura; una cittadella della conoscenza di 9000 metri quadri ricavata dalla riqualificazione di un ex stabilimento industriale. Ideato da un mecenate di rara visione, sensibilità e generosità, l’imprenditore Marino Golinelli, che dal 1988 attraverso l’omonima fondazione ha intrapreso un percorso virtuoso, destinando le sue risorse a generare un impatto concreto sulle nuove generazioni, investendo su maestre, professori, giovani e bambini.
All’interno di questa cornice unica al mondo, nella prima periferia di Bologna, si è svolto un evento in cui bambini e adulti si incontrano per il piacere di creare, lavorare, discutere, pensare, e soprattutto inventare insieme il futuro: la Bologna Children Design Jam.
Un pomeriggio dove creatività e design sono le parole d’ordine, organizzato all’interno della Global Service Jam in collaborazione con Paco Design, un network collaborativo di professionisti attivo in Italia e all’estero dal 2012.
Service Jam è il più grande evento globale di Service Design e Design Thinking e si rivolge a tutti coloro che si nutrono di esperienze formative diverse, dove creatività ed immaginazione hanno un ruolo chiave, così anche Children Design Jam diventa un momento di educazione dove è facile rimanere sorpresi dalla fantasia dei bambini, veri campioni nel sognare soluzioni inimmaginabili.
Ed è proprio quello che è accaduto. Il tema trattato dai bambini, era quello del ristorante del futuro, visto dai loro occhi; luoghi pieni di confusione e troppo poco spesso a misura di bambino, i ristoranti sono stati ripensati in ogni loro parte dal gruppo di piccoli inventori che hanno partecipato all’evento. L’approccio che si è deciso di utilizzare è stato quello del Design Thinking, nato intorno agli anni 2000 nell’Università californiana di Stanford, un moderno modello manageriale di gestione aziendale, particolarmente adatto a trattare problemi dall’esito incerto che comportano rischi decisionali. Il tutto armati di carta, cartone, colori, nastro adesivo, pennarelli e colori, stoffa, plastilina, ma anche luci e proiezioni.
Anche se fatto, ideato e affrontato da bambini, per il ristorante la principale problematica è la stessa che noi adulti riscontriamo sempre più spesso: la mancanza di tempo che si traduce in desiderio/necessità di voler avere tutto in fretta e vivere esperienze a valore aggiunto. Tutti e quattro i gruppi di bambini hanno individuato diversi problemi, tra cui la confusione o tavoli e sedie troppo alti, ma quello che ha costituito un vero filo rosso comune a tutti è stato l’uso inadatto del tempo, l’annoiarsi all’interno di uno spazio non pensato per loro, e l’eccessiva lentezza dei camerieri che fanno arrivare in ritardo il loro cibo. Il tutto ovviamente affrontato con una mentalità immaginaria e piena di quei colpi di scena degni dei bambini.
“Le soluzioni che hanno trovato – racconta Chiara Cecchini, una delle coach che ha seguito i bambini durante il laboratorio – sono state incredibili. Da una classica sala giochi per divertirsi, a dei razzi supersonici messi sotto i piedi dei camerieri per non farli camminare piano, o meglio ancora sarebbe stato secondo loro trasformarli direttamente in robot. Anche la confusione è stata gestita con un approccio a metà strada tra la fantasia e la realtà: la proposta di uno dei bimbi è stata quella di creare dei ristoranti con molti piani, ognuno dei quali è autorizzato a tenere un numero limitato di persone per diminuire il rumore di fondo”. “I bambini con cui ho lavorato – spiega Beatriz Jacoste Lozano – hanno affrontato il problema della perdita di tempo e l’opportunità di divertirsi unendo l’utile al dilettevole: tavoli pensati da loro, più bassi di quelli dei grandi per stare più comodi e forniti di un piano sul quale cucinare, per avvicinare il cibo e la cucina in modo divertente”.
Antonio Gagliardi ha aiutato i piccoli designer ad approcciarsi a nuove tecnologie, come il Makey Makey, un hardware che permette, attraverso piccole pinze a coccodrillo, di trasformare qualsiasi oggetto in una tastiera. “Pensavo di stupire i bambini trasformando il cibo sotto le loro mani in tastiere improvvisate, ma mi sbagliavo. Per loro il concetto di tasto e reazione sul computer è normale, e anche se trasposta su un oggetto particolare non li ha affatto sorpresi. Sono già preparati alle diverse applicazioni della tecnologia, e con le loro alte aspettative non si fanno stupire con così poco. Un altro elemento particolare che ho notato è stata la maggiore predisposizione al lavoro non tanto per il tema interessante, ma sopratutto per l’approccio usato tramite il Design Thinking. Responsabilizzarli facendogli trovare in autonomia problemi e conseguenti soluzioni li fa sentire importanti”.
Francesco D’Onghia, coordinatore dell’evento, spiega gli approcci usati: “il Design Thinking non è stata l’unica metodologia usata per l’ideazione e la realizzazione dell’evento, ci siamo ispiranti anche al Reggio Approach; l’approccio pedagogico per la scuola dell’infanzia sviluppato a Reggio Emilia che vede i bambini come costruttori attivi delle proprie conoscenze, comunicatori, un modello dove l’apprendimento avviene attraverso esperienza e relazioni.”
Le risposte positive non sono arrivate soltanto dei bambini, ma anche dagli adulti, una delle mamme, racconta ancora Francesco, ha inviato una mail nella quale scrive “mio figlio si è sentito coinvolto, contento, soddisfatto e libero di pensare attivamente. Per me è stata una giornata interessante da aggiungere ad altre esperienze positive di quelle che arricchiscono anima e mente. L’opificio è un luogo accogliente, aperto non solo architettonicamente, ma anche culturalmente.”
Così, anche questa volta il cibo si è dimostrato canale di espressione comune, un linguaggio universale. Ma perchè si è scelto proprio il cibo? Perchè come ci ricorda l’Institute For The Future di Palo Alto:
“Ogni volta che ci riuniranno attorno ad una tavola, onoriamo il passato, sperimentiamo il presente e – con le nostre scelte quotidiane- ci prepariamo per il futuro”;
e nessuno meglio dei bambini può disegnare un futuro positivo e fantasioso per la nostra comunità.