Il tesoro di West County

Che la Bay Area californiana riservi sorprese, non stupisce. In fin dei conti è l’El Dorado di questo secolo, no? La terra promessa di innovatori e inventori, la Gerusalemme del business creativo e della tecnologia che detta i nuovi dogmi della socialità. Chi però conosce un po’ la zona sa che a due passi dai quartieri generali dei tech-colossi si stendono Sonoma County e la Napa Valley, splendide pianure fertili tanto in fattorie e vigneti quanto in idee e progetti. Eroi o fenomeni magari meno appariscenti e meno celebri di quelli sviluppati dai vicini della Silicon Valley, ma non per questo meno utili o meno meritori di attenzione.

La Food Innovation Global Mission che ora sta proseguendo in Asia ci sta regalando l’opportunità di incontrare nel nostro cammino persone splendide e storie che vale la pena raccontare, ma prima di andare avanti con le mie cronache digitali,  voglio condividere con voi il mio stupore e raccontare tre progetti che abbiamo scoperto durante la nostra tappa californiana.

Il primo incontro speciale è avvenuto con la visionaria e appassionata Cathryn Couchè nell’orto del suo Ceres Community Project. Cathryn ha creato, ed oggi guida, una comunità di giovanissimi chef volontari che coltivano e cucinano cibo biologico per persone a basso reddito, affette da malattie gravi. Cathryn ci ha spiegato che il mangiare sano è uno dei fattori determinanti nella guarigione da certe patologie, e tuttavia spesso finisce in fondo alla lista delle priorità, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per stanchezza o anche impossibilità economica. Tutto è cominciato con un progetto estivo, nato perchè un’amica le aveva chiesto di insegnare a cucinare alla figlia. Pian piano il progetto si è espanso convincendo decine di giovani a prendervi parte, fino a diventare la strutturata organizzazione no-profit che è oggi.

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La missione quotidiana del Ceres Community Project è di prendersi cura delle salute delle persone, della comunità e del pianeta partendo dal cibo, ed attraverso il cibo ispirare ed educare le nuove generazioni.

Oggi questa comunità con oltre dieci affiliazioni, collaborando con medici ed esperti, produce centinaia di pasti biologici preparati da studenti volontari, ragazzi che devono svolgere lavori socialmente utili o semplicemente appassionati alla causa, tutti affiancati da chef professionisti. Gli “angeli delle consegne”, come li chiama Cathryn, si occupano poi di portare il cibo a casa di chi aderisce al progetto. L’idea sottesa è che il cibo può, anche se in piccola parte, lenire il male che certe persone hanno la sfortuna di vivere. E soprattutto può connettere quelle persone ad una più ampia comunità di people who care, di gente che si preoccupa del benessere di chi gli sta attorno.

Il principio è lo stesso che ha ispirato Shed, una comunità di agricoltori di Healdsburg, in Sonoma County. I fondatori sono una coppia di San Francisco trasferitisi per realizzare il proprio sogno: costruire una comunità basata sull’idea del “farm to table”, dai campi e dalle coltivazioni dietro casa alle tavole del ristorante aperto alla città. Cindy Daniels e il marito stanno coniugando (con successo e grande stile!) le gioie del coltivare e preparare il proprio cibo in maniera sostenibile e naturale all’impatto sociale che l’espandersi di un simile progetto può avere su una piccola cittadina come Healdsburg. Oggi la loro “shed” è un punto di ritrovo della città, dove si può partecipare a corsi di cucina, scegliere il proprio grano preferito e molire la propria farina, trovare oggetti di design ricercati, spezie e aromi, oltre che mangiare prodotti rigorosamente locali, e bere un drink al meraviglioso fermentation bar dove servono kombucha, acqua kefir, shims (cocktails a basso tasso alcolico) o dei fenomenali shrubs, piacevolissimi aperitivi a base di frutta ed aceti che potrebbero fare concorrenza al nostro amato spritz.

IMG_3353 (1)Ma la vera responsabile per questa nostra deviazione, apparentemente così bucolica, è solo Sherry Huss, la mamma dei Maker, che con un ingenuo invito ci ha fatto innamorare del suo  “regno”, o meglio ci ha accolto nel suo “ecosistema”. Proprio così; anche la Make Foundation, il movimento dei Makers, lo stesso che ha dato il via alla proliferazione delle Maker Faire, che ora sono 197, è nato in questa parte di mondo. L’idea è stata concepita, come da copione, in un cortile “dietro casa” in California, da Dale Dougherty e Sherry.

La missione che anima il movimento dei Makers è che qualsiasi oggetto o concetto possa essere “hackerato” in modo da stravolgerne i connotati, così da rendere assolutamente innovativo qualcosa di assolutamente ordinario. 

Maker Faire non è una competizione ma una palestra che educa alla cooperazione.

La cultura dei Makers si è rapidamente diffusa nelle scuole e nei centri giovanili di aggregazione di tutto il mondo e nel mondo aziendale nelle teorie di management più innovative. Fab Lab e “makerspace” si stanno propagando dalle grandi città ai piccoli centri, creando così una comunità virtuale fatta di artigiani digitali, inventori, problem solver ed educatori che stimolano la comunità allargata e soprattutto le nuove generazioni a prendere iniziativa, ad usare la creatività per inventare soluzioni ai problemi quotidiani e perchè no ad inventarsi nuove professioni.

Così Maker Faire Bay Area, come se fosse la vera e propria “pasta madre” del movimento, viene alimentata da questo ecosistema, produce, cresce e viene condivisa, o meglio “spacciata”. E’ una formula segreta che ormai ha contaminato il mondo con la volontà di diffondere una cultura comune più produttiva, creativa ed inclusiva, che integri scienza e tecnologia, arte e arte del fare.

IMG_3356 (1)Il filo rosso che unisce questi tre progetti è il vero paradigma della Silicon Valley: Be Exponential. E’ la convinzione che da un’idea nata in un cortile, in un garage o nella stanzetta di uno studente del college si possa rivoluzionare un’intera generazione.

Questa settimana Mark Zuckerberg, il creatore di facebook che di quel paradigma è forse l’interprete più noto, ha pubblicato un lungo post su facebook che è insieme manifesto e ammissione di colpa. Il mea culpa di Zuckerberg è ammirevole, riconosce che Facebook ha fallito, per molti aspetti, nel suo progetto di costruire una comunità globale che sia davvero luogo di forza e perno della connessione tra idee: non ha intercettato fino in fondo i rischi connessi alla “post-verità” e al montare di notizie false, per non parlare del nuovo flagello del cyberbullismo. Allo stesso tempo, però,  delinea un manifesto del globalismo e dell’idealismo comunitario bottom-up che non mi posso esentare dal condividere: “Il progresso, ora, richiede che l’umanità si unisca non solo in città o nazioni, ma anche in quanto comunità”.

Per molti versi ha dato voce a tutti noi “makers”, noi “farmers”, noi “hackers”, noi “foodies”,noi “social innovators” insomma noi che ogni giorno ci svegliamo e contribuiamo, nel nostro piccolo, a cucire un lembo in più della tela dell’innovazione. Il mio lembo, per ora, prosegue nella terra del sol levante, ma non posso che guardare con ammirazione a tutte le persone che nella tappa statunitense della nostra Global Mission mi hanno e ci hanno arricchito immensamente.

Schermata 2017-02-22 alle 04.24.34E a chi vola in California sperando di trovare i pirati della Silicon Valley, che stanno diventando sempre più pop, suggerisco piuttosto di attraversare quel ponte rosso ed inoltrarsi nei meandri dell’entroterra, alla caccia di chi come Cathryn Couch, Cindy DanielsSherry Huss e Dale Dougherty contribuisce più di ogni altro a dipingere i nostri orizzonti.

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